Corriere della Sera (Roma)

Attentato alla Sinagoga, quel 9 ottobre 1982 «Il mio Stefano e il dovere della memoria»

CHE FINE HANNO FATTO

- Di Fabrizio Peronaci

S

ignora , in queste ore la politica si divide sulla commission­e contro l’antisemiti­smo proposta dalla senatrice Segre. Se la sente di tornare a quel giorno? Chiuda gli occhi: sono le 11.55 del 9 ottobre 1982. Cosa vede?

«Vedo tanta gente, gli amici di sempre con cui siamo appena usciti dal Tempio e soprattutt­o vedo i miei due bambini vestiti a festa. Bellissimi, vestiti uguali come faccio spesso. Ad un tratto tutto finisce... Capisco e grido: “Non voglio morire!” Mi arriva qualcosa in testa, cado a terra. Penso a un sasso, ma subito mi rendo conto che si tratta di una bomba a mano miracolosa­mente inesplosa. Ho schegge in tutto il corpo... Non sono morta nel fisico, ma moralmente, psicologic­amente sì... Gran parte del mio cuore ha cessato di battere quel giorno». La signora Daniela è la mamma di Stefano Gaj Tachè, «vittima del terrorismo a soli due anni».

La targa stradale a lui intitolata, inaugurata nel 2007, si trova nello slargo tra via del Tempio e via Catalana, al lato della Sinagoga di Roma. Quello splendido bimbetto dagli occhi grandi e nerissimi morì, con il corpicino dilaniato, nell’attentato di 37 anni fa, rimasto il più grave atto antisemita avvenuto in Italia nel secondo dopoguerra. Bombe a frammentaz­ione e mitra alla mano, un commando di palestines­i seminò orrore e morte al termine della festa di Sukkot, dedicata dagli ebrei al ringraziam­ento e alla gioia interiore.

Donna forte, Daniela. Ma quella ferita sanguina ancora. Suo marito Joseph partecipò ai funerali con una mano fasciata: quando un medico del Fatebenefr­atelli gli disse che il figlio era morto, scagliò un pugno contro la vetrata, per tentare di contenere la rabbia.

Lei non poté partecipar­e alle esequie del suo bambino, perché gravemente ferita, come altre 36 persone. Cos’altro ricorda?

«Dopo l’esplosione, sentii delle mani amiche che mi spingevano in una macchina. Persi conoscenza. Mi svegliai in ospedale, dove chiesi subito dei miei bambini. Riuscii a vedere la piccola bara bianca che usciva dall’ospedale, affacciand­omi dal terrazzino del Fatebenefr­atelli. Ero controllat­a e tenuta fisicament­e dai medici, che temevano una mia reazione».

Per due anni lo ha accudito, tenuto, in braccio, amato. Che genere di ragazzo sarebbe diventato Stefano?

«Mi hanno privato della gioia di vederlo crescere, ma sono sicura che sarebbe stato un bel ragazzo, simpatico, intelligen­te, generoso... Già così piccolo era portato per le lingue. Non so, forse si sarebbe laureato... Non posso sapere che lavoro avrebbe scelto, ma di certo mi avrebbe resa orgogliosa. Stefano era vita, simpatia, meraviglia. Un figlio dolcissimo».

Come sono stati i primi tempi senza il piccolo?

«Terribili. Ero una giovane madre, fiera dei suoi figli. Mi è stato tolto quanto di più caro avessi. Un gioiello di valore inestimabi­le... il mio piccolo».

Cosa le ha dato forza?

«La forza di andare avanti me l’ha data il primogenit­o, Gadiel. Le cure di cui aveva bisogno e la consapevol­ezza che avrei dovuto essere una madre attenta, vigile e forte».

Cosa cambiò l’attentato nella sua e nella vostra vita?

«Tutto. Ogni volta che torno nella Sinagoga rivivo quel terribile giorno. Mi guardo attorno esaminando con attenzione ogni volto che mi circonda. Provo paura, ma non smetto di andarci. Le nostre tradizioni le porto avanti. Naturalmen­te con Stefano sempre nella mente e nel cuore».

Gadiel, nella ricorrenza dei 30 anni, nel 2012, vinse la timidezza e parlò pubblicame­nte del vostro dolore, davanti al presidente Napolitano. Poi fu felice, disse, di essere riuscito ad affermare i valori della memoria e della testimonia­nza civile.

«Sono fiera di quello che Gadiel ha fatto e continua a fare. Lui trovò la forza di affrontare questa storia quando si rese conto che l’opinione pubblica aveva dimenticat­o l’attentato alla Sinagoga. Una pagina trascurata nelle scuole e dai libri di storia, purtroppo. I giovani ignorano ciò che accadde. Gadiel si fece carico di ricordare a questo Paese che nel 1982 un bambino italiano, ancora una volta, fu ucciso nel cuore dell’Italia solo perché ebreo. L’effetto più importante dello sforzo di Gadiel fu il discorso che il presidente Sergio Mattarella fece nel suo discorso di inizio mandato».

Era il 3 febbraio 2015. Suo figlio fu l’unica vittima del terrorismo citata dal capo dello Stato.

«Ringrazio ancora il presidente. Le sue parole furono: “Era un nostro bambino, un bambino italiano”. Le custodisco nel cuore».

Qual è stato, dopo la tragedia, il suo rapporto con Roma?

«Roma è stata, è e sempre sarà la mia città. L’attentato in qualche modo ha avvicinato la comunità ebraica alla città. Non da subito, ma col tempo, il rapporto con le istituzion­i romane si è rafforzato».

Il cammino verso la pace, in quasi 40 anni, ha dato risultati concreti. Sul fronte del terrorismo, passeggian­do al Portico d’Ottava, dovremmo stare più tranquilli, non trova? O potrebbe accadere di nuovo?

«Ormai siamo abituati a vedere polizia e carabinier­i davanti al Tempio, che controllan­o tutta la zona. Sarebbe bello non averne bisogno. Purtroppo l’unica volta che non furono presenti, il Tempio fu attaccato in quel modo... Quindi sì, oggi siamo più protetti. Ne approfitto per ringraziar­e di cuore le forze dell’ordine e i tanti padri e madri di famiglia che garantisco­no la sorveglian­za per spirito di volontaria­to. Ma purtroppo non sono così sicura che non possa accadere di nuovo. L’attenzione siamo costretti a tenerla molto alta».

Cosa pensa delle polemiche di questi giorni sulla commission­e Segre?

«Pur condividen­do la necessità della formazione di una commission­e in tal senso, non vorrei alimentare una polemica e la strumental­izzazione di un argomento come l’antisemiti­smo, che dovrebbe appartener­e a valori universali di tutte le forze politiche, di destra e sinistra, e della nostra democrazia».

Torni a chiudere gli occhi: che immagine le resta del piccolo Stefano?

«Un bambino felice, dolce e sorridente, a cui è stato negato di crescere nella sua famiglia, soprattutt­o accanto a suo fratello, con cui avrebbe potuto dividere una vita normale».

 ??  ?? Amore filiale Stefano e Daniela Gaj Tachè
Amore filiale Stefano e Daniela Gaj Tachè
 ??  ?? La targa Il Comune ha dedicato a Stefano Gaj Tachè uno slargo vicino alla Sinagoga
La targa Il Comune ha dedicato a Stefano Gaj Tachè uno slargo vicino alla Sinagoga
 ??  ?? Funerali Joseph Tachè (a sinistra, con i baffi) alle esequie del figlio
Funerali Joseph Tachè (a sinistra, con i baffi) alle esequie del figlio
 ??  ?? Aveva due anni Stefano Gaj Tachè, ucciso nell’attentato del 1982. Fu il più grave atto antisemita del dopoguerra
Aveva due anni Stefano Gaj Tachè, ucciso nell’attentato del 1982. Fu il più grave atto antisemita del dopoguerra
 ??  ?? Dolore Daniela Gaj Tachè
Dolore Daniela Gaj Tachè

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