Il film postumo di Torre e i suoi «Figli»
Oggi nelle sale l’ultimo lavoro del geniale sceneggiatore. Il ricordo di un’amica scrittrice
Mattia Torre, ci ha lasciato il 17 luglio scorso, aveva 47 anni: la sua dolorosa morte segna la scomparsa di un «ragazzo» eccezionale e un autore prezioso per il nostro paese. Prolifico e poliedrico, geniale e tagliente, è stato capace di combattere il male oscuro e farne una seria televisiva come La Linea verticale. Aveva gli occhi intelligenti, luminosi, tempestati di piccole rughe che testimoniavano tutte le sue risate, perché il suo grande dono era l’ironia, la capacità di guardare alla vita con uno sguardo arguto e tradurlo in parola.
Dagli spettacoli teatrali, alle serie, ai film, ai libri, Mattia ha sempre raccontato lo stato delle cose usando un linguaggio personale e libero, fotografando il nostro bel paese nelle sue piccolezze, riuscendo a suscitare una risata che oltre a portare l’allegria traghettava con sé un pensiero critico.
Il cibo, la rivalsa, il lavoro, il mondo della televisione, il ciclo ormonale, la morte e molto altro ancora sono stati gli argomenti protagonisti della sua produzione — spesso affidati al suo alter ego Valerio Mastandrea. La sua capacità di immedesimazione e un sottofondo di coriaceo ottimismo erano gli ingredienti unici di un essere umano speciale, un autore insostituibile. Ci lascia in eredità il film Figli di cui aveva scritto la sceneggiatura e che Lorenzo Mieli, produttore e storico amico dell’autore, ha deciso di realizzare, affidando la regia a Giuseppe Bonito (da oggi nelle sale). È l’esilarante storia di una coppia, Sara e Nicola (magistralmente interpretati da Valerio Mastandrea e Paola Cortellesi), innamorati e genitori di un’adorabile bambina. Il loro ménage perfetto viene sconvolto dall’arrivo del secondo figlio, Pietro. Il piccolo distrugge un equilibrio che sembrava saldissimo: le ore di sonno si riducono, la primogenita è gelosa e impreparata, i suoceri assenti. Le giornate trascorse in luoghi per la prima infanzia (gli orribili hangar pieni di palline) e un’unica uscita serale fatta di stanchezza e silenzi, con il terrore del rientro. Sara e Nicola precipitano in una crisi profonda, mentre si ripetono a ritmi alterni, che tutto andrà bene: loro ce la faranno. Combattono in una Roma difficile e cialtrona, la capitale di un’Italia che non è strutturata per accogliere la famiglia. Il film è il ritratto surreale e meraviglioso di una generazione impreparata che galleggia a vista in un tempo storico oscuro e incerto. La scrittura brillante dà voce a tutti: bambini, adulti, vecchi, insieme a una carrellata di geniali figure comprimarie. Ancora una volta Mattia aveva pescato nel privato e nell’immaginario collettivo di una piccola borghesia di cui era parte integrante, riuscendo a centrarla e a cantarla con soavità e un’attenzione mirabile.
Quando ho avuto la fortuna di chiedergli di cosa parlasse il film, mi ha sorriso e detto: «Di me, di te, degli altri». Aveva ragione. I figli, siamo noi.