«Mondo di mezzo», liberi nove condannati
La Corte d’appello dispone la scarcerazione di Coratti, Tassone e Tredicine
Per effetto della legge «Spazzacorrotti», il 23 ottobre, all’indomani della sentenza definitiva in Cassazione nel processo al cosiddetto «Mondo di Mezzo», erano finiti in carcere pur se alleggeriti dalla pesante aggravante della «mafiosità». Ieri, in nove, sono tornati liberi con la stessa immediata contro-applicazione della medesima norma, giudicata incostituzionale dalla Corte Costituzionale nella parte in cui prevede che sia retroattiva l’impossibilità di usufruire di misure alternative alla detenzione per reati di corruzione. La Corte d’Appello ha infatti ritenuto sufficiente il comunicato stampa della Consulta per dichiarare inefficace l’ordine di carcerazione e sollecitare in questo senso la procura Generale, senza bisogno di aspettare la pubblicazione della decisione nella Gazzetta Ufficiale. Le formalità sono state sbrigate nel tardo pomeriggio e in serata i nove condannati sono tornati liberi.
Sono funzionari, politici e imprenditori finiti per impersonare la legge simbolo del ministro della Giustizia grillino Alfonso Bonafade. La norma, in un primo momento, li aveva mandati in cella per effetto della sua retroattività in caso di condanne per corruzione con una condanna definitiva che implicasse un residuo di pena anche inferiore ai 4 anni. Ora invece che la Consulta l’ha giudicata incostituzionale su questo punto, le porte di Rebibbia si aprono per i nove condannati in direzione contraria. Sono l’ex presidente dell’assemblea capitolina Mirko Coratti (condannato a 4 anni e 6 mesi ma con un residuo di 3 anni e sette mesi), l’ex presidente del Municipio di Ostia, Andrea Tassone (5 anni di condanna, 3 e 11 mesi ancora da scontare) l’ex direttore del dipartimento delle Politiche sociali della Regione, Guido Magrini (3 anni di pena scesi a 2,2), l’ex consigliere comunale Giordano Tredicine (2 anni e sei mesi di condanna), Marco Placidi, ex responsabile tecnico del Comune di Sant’Oreste, l’ex dirigente del Servizio giardini del Campidoglio, Claudio Turella, Mario Schina della segreteria di Coratti, l’ex capo segreteria dell’assemblea capitolina Franco Figurelli, e l’imprenditore Sandro Coltellacci. Figure in qualche modo centrali nella maxi inchiesta su tangenti e favori tra Comune e Regione.
Diverso il caso di chi dal giorno della sentenza aspetta la fissazione del nuovo processo di appello che ne dovrà rideterminare la pena per la riqualificazione dei reati senza aggravante del 416 bis e grazie all’assoluzione su singoli capi di imputazione. È il caso di Pierpaolo Pedetti, l’ex presidente (Pd) della commissione Politiche abitative del Comune e di Franco Panzironi, per il quale è caduta l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e di corruzione (derubricata in influenze illecite). Stessa attesa vive Luca Gramazio, l’ex capogruppo del Pdl alla Regione, che ha visto cadere l’accusa di mafia ma è ai domiciliari per la corruzione.
Quanto ai due capi delle associazioni a delinquere gemelle al centro dell’inchiesta, Massimo Carminati è detenuto ma non più in regime di carcere duro (il 41 bis), sempre in virtù del venir meno dell’aggravante mafiosa e attende il riconteggio dei 14 anni di carcere, mentre Salvatore Buzzi (18 anni e 4 mesi ma da riconteggiare) ha una situazione ancora aperta. La Procura generale della Corte d’appello ha infatti presentato ricorso contro la scarcerazione e l’ingresso ai domiciliari disposto lo scorso lo scorso dicembre dopo 5 anni di carcere perché lo ritiene ancora «socialmente pericoloso». Buzzi dal canto suo ha ricusato il collegio del Riesame presieduto da Bruno Azzolini che avrebbe dovuto valutare il ricorso perché in passato si era già espresso nei confronti dell’ex «ras» delle cooperative, confermando di fatto l’impianto accusatorio.
Attesa Diverso il discorso per gli imputati che hanno avuto pene più pesanti, come Carminati e Buzzi: sono in attesa del ricalcolo