Silenzi, caos e abissi «Io, al servizio del grande Beckett»
Francesca Benedetti e l’autore irlandese: in scena frammenti e testi da romanzi e pièce
Francesca Benedetti è abituata, da sempre, a interpretare spettacoli non convenzionali. Stavolta con Back to Beckett, esplora il mondo del grande scrittore e drammaturgo irlandese. Lo spettacolo di cui è protagonista, con la regia di Marco Carnici e la drammaturgia di Francesco Tozzi, debutta al Teatro Basilica stasera.
«Non è una messinscena convenzionale — conferma l’attrice — piuttosto una sintesi delle parti, degli aspetti più rappresentativi di Beckett: la sua voglia di non parlare, di tacere, ma anche il suo impulso a parlare comunque, a naufragare nel caos più assoluto, abissale».
Il progetto non riguarda il teatro di Beckett, bensì i suoi romanzi. «Partiamo dai suoi romanzi che appartengono a una trilogia: Molloy, Malone muore e L’innominabile — riprende Benedetti — Si crea un percorso che attraversa le storie raccontate, alternandosi anche a frammenti del suo teatro. Sono pensieri, torture mentali, come una sorta di Winnie dei Giorni felici. La parola è assoluta protagonista nella sua tormentata negatività. Beckett parla attraverso la mia interpretazione, annullando tutti i parametri, perché è un autore che riesce ad andare dal grado zero alla totale verticalità. E io, indegnamente, lo incarno, mi metto al suo servizio».
Una carriera, quella della
Benedetti, che parte da lontano, dall’Accademia Nazionale d’Arte drammatica. «Il mio primo grande maestro è stato Orazio Costa. Mi ha insegnato la purezza della parola, da pronunciare in palcoscenico senza enfasi. La parola, per lui, era oggetto di laboratorio, e per questo andava detta con umiltà».
E poi Luca Ronconi. «Un altro grande regista: un genio che, attraverso le sue regie, rappresentava anche il suo impaccio esistenziale. Luca era scostante nei confronti di tutto e di tutti, mai amichevole, sempre tortuoso... ma andava in profondità nell’analisi delle cose, mai superficiale. In questo modo ti apriva orizzonti che tu non pensavi neanche che esistessero e non credevi di poter raggiungere». Ma anche Giorgio Strehler: «Era umanamente l’opposto di Luca. Giorgio era dolce, caldo, sensuale...». Una carriera ricca di incontri, insomma. «Assolutamente sì. Ma proprio per questo posso affermare di non aver avuto un percorso regolare». È un rammarico? «No. Semmai il rammarico è di non aver mai avuto l’occasione, in tanti anni di militanza scenica, di recitare in un’opera di Cechov. Ormai è troppo tardi, potrei fare solo la vecchia nutrice nel Giardino dei ciliegi e il personaggio non mi interessa».