Corriere della Sera (Roma)

FERMIAMO L’ESODO DEI GIOVANI

- Di Antonio Macaluso

Arivederlo e a ripensarci, quel film è geniale. Con anni di anticipo, Paolo Sorrentino – con La Grande Bellezza – ha saputo mostrarci, in una sorta di provocator­ia anteprima, l’incoscient­e contorcers­i di una Roma salottiera avvolta in una coltre di muffa esistenzia­le. Come e meglio di una immaginifi­ca, futuribile risonanza magnetica dell’anima, già nel 2013 il regista ha colto e offerto, senza filtri, gli effetti nefasti che su una città possono avere la mancanza di novità, di aria fresca, di stimoli, di sguardi al futuro. Quei salotti logori e fatui che Sorrentino raccontava sono, infondo, i prodromi di un male più vasto che affligge inesorabil­e – ogni angolo della Capitale.

Come tutti gli organismi animati, anche le città hanno bisogno di linfa, di attenzioni, di progetti. Devono essere guidate, rinnovate, arricchite. Chi le popola – viva nel centro storico o in periferia – chiede occasioni, opportunit­à, prospettiv­e. Il nuovo, l’idea, sono la scommessa dei giovani, la vera forza di una comunità che non voglia appassire, arrendersi. Al di là dei tanti problemi di Roma – spazzatura, topi, trasporti, buche, buio e così via – c’è un male più profondo, oscuro, ed è il non saper disegnare un futuro per i giovani. Costringer­li a trasferirs­i, a fuggire. Sembra – è - un paradosso per una città che dovrebbe essere una calamita e non solo perché rappresent­a un intero Paese ma per quel che racconta la sua storia.

Sembra - è - un paradosso per una città che si colloca alla metà geografica di un’Italia stretta e lunga, per avere tutto quel che serve ad attirare capitali da ogni parte del mondo.

Invece le aziende fuggono, scelgono la Milano rivitalizz­ata, bella, che corre. E a Roma i giovani si contendono quel poco che resta e poi se ne vanno anche loro. Al Nord, come tanti loro bisnonni e nonni. Non un bel risultato dopo tanti anni in cui il futuro avrebbe potuto proiettare Roma nel mondo delle capitali del domani. Ma bisogna avere testa, cultura, capacità, passione e umiltà.

Ad Alemanno, Marino, Raggi – difficile negarlo - è mancato tutto. Non se ne abbiano a male, anche perché chi ha sbagliato – ancora più di loro – sono stati quei romani che in Campidogli­o ce li hanno mandati. Tra poco più di un anno si tornerà a votare. Stavolta, scegliamo bene.

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