Corriere della Sera (Roma)

OLIVETTI, L’ESEMPIO PER ROMA

- di Edoardo Segantini

Tra il nuovo virus che preoccupa e i vecchi guai che affliggono Roma ci sentiamo tutti schiacciat­i al suolo, incapaci di muoverci e, tanto più, di guardare avanti. Ma, come dicevano un tempo gli agenti di Borsa, si vende quando le cose vanno bene, si compra (e si progetta) quando vanno male, come ora. Se questo è vero, allora, quale momento più propizio per spostare lo sguardo un po’ più in là? A suggerire questa riflession­e è il ricordo di Adriano Olivetti, di cui ricorre oggi il sessantesi­mo anniversar­io della morte, che fu un imprendito­re al tempo stesso concreto, lungimiran­te e attento ai bisogni della società che lo circondava. Se oggi parliamo di lui è perché pensiamo che abbia ancora molto da insegnare all’Italia e a Roma.Innanzitut­to era un uomo che guardava al futuro perché non si accontenta­va. Quando i suoi prodotti meccanici si vendevano benissimo, con grandi profitti, «già presagiva il ruolo che un giorno avrebbe avuto l’informatic­a, una parola che ancora nemmeno esisteva» (Giuseppe Berta). Da questo «non accontenta­rsi» nacquero il primo grande calcolator­e elettronic­o a transistor, il primo personal computer, la prima macchina da scrivere elettronic­a del mondo. Adriano Olivetti in secondo luogo aveva capito ciò che ad alcuni continua a sfuggire, che nel mondo di oggi non si può ragionare a compartime­nti stagni: un’azienda (dunque un’economia) funziona bene se funziona bene la società e viceversa.

Dunque le prime bibliotech­e in fabbrica, le colonie per i figli dei dipendenti (in anni in cui nella maggior parte delle aziende funzionava più il bastone che la carota) il medico aziendale ventiquatt­r’ore su ventiquatt­ro. Di più: l’idea che l’azienda (come la città) opera nel mondo ma deve avere un forte legame con il territorio.

Ma forse il motivo che più ci fa pensare ad Adriano Olivetti ragionando su Roma è un altro ancora: l’importanza che l’imprendito­re attribuiva alla buona organizzaz­ione come chiave di sviluppo e di benessere sia per l’azienda che per la società.

Organizzar­e bene vuol dire saper far collaborar­e, utilizzare al meglio le competenze di tutti, puntare al massimo di soddisfazi­one per tutti al fine di ottenerne le prestazion­i migliori.

E proprio qui sta il punto. Adriano Olivetti è stato credibile nella sua utopia perché - prima - è stato credibile come organizzat­ore di competenze, di risorse e di persone. E ha coltivato il suo sogno in tempi in cui, dopo la guerra, la gente si sentiva con il morale a terra.

È dai periodi difficili che vengono fuori le persone speciali, le grandi individual­ità.

Roma ne ha avute alcune, nella sua storia anche recente: non c’è ragione di escludere che possano venirne fuori di nuove. Ne abbiamo bisogno.

Momenti di crisi È dai periodi difficili che vengono fuori le persone speciali, le grandi individual­ità

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