OLIVETTI, L’ESEMPIO PER ROMA
Tra il nuovo virus che preoccupa e i vecchi guai che affliggono Roma ci sentiamo tutti schiacciati al suolo, incapaci di muoverci e, tanto più, di guardare avanti. Ma, come dicevano un tempo gli agenti di Borsa, si vende quando le cose vanno bene, si compra (e si progetta) quando vanno male, come ora. Se questo è vero, allora, quale momento più propizio per spostare lo sguardo un po’ più in là? A suggerire questa riflessione è il ricordo di Adriano Olivetti, di cui ricorre oggi il sessantesimo anniversario della morte, che fu un imprenditore al tempo stesso concreto, lungimirante e attento ai bisogni della società che lo circondava. Se oggi parliamo di lui è perché pensiamo che abbia ancora molto da insegnare all’Italia e a Roma.Innanzitutto era un uomo che guardava al futuro perché non si accontentava. Quando i suoi prodotti meccanici si vendevano benissimo, con grandi profitti, «già presagiva il ruolo che un giorno avrebbe avuto l’informatica, una parola che ancora nemmeno esisteva» (Giuseppe Berta). Da questo «non accontentarsi» nacquero il primo grande calcolatore elettronico a transistor, il primo personal computer, la prima macchina da scrivere elettronica del mondo. Adriano Olivetti in secondo luogo aveva capito ciò che ad alcuni continua a sfuggire, che nel mondo di oggi non si può ragionare a compartimenti stagni: un’azienda (dunque un’economia) funziona bene se funziona bene la società e viceversa.
Dunque le prime biblioteche in fabbrica, le colonie per i figli dei dipendenti (in anni in cui nella maggior parte delle aziende funzionava più il bastone che la carota) il medico aziendale ventiquattr’ore su ventiquattro. Di più: l’idea che l’azienda (come la città) opera nel mondo ma deve avere un forte legame con il territorio.
Ma forse il motivo che più ci fa pensare ad Adriano Olivetti ragionando su Roma è un altro ancora: l’importanza che l’imprenditore attribuiva alla buona organizzazione come chiave di sviluppo e di benessere sia per l’azienda che per la società.
Organizzare bene vuol dire saper far collaborare, utilizzare al meglio le competenze di tutti, puntare al massimo di soddisfazione per tutti al fine di ottenerne le prestazioni migliori.
E proprio qui sta il punto. Adriano Olivetti è stato credibile nella sua utopia perché - prima - è stato credibile come organizzatore di competenze, di risorse e di persone. E ha coltivato il suo sogno in tempi in cui, dopo la guerra, la gente si sentiva con il morale a terra.
È dai periodi difficili che vengono fuori le persone speciali, le grandi individualità.
Roma ne ha avute alcune, nella sua storia anche recente: non c’è ragione di escludere che possano venirne fuori di nuove. Ne abbiamo bisogno.
Momenti di crisi È dai periodi difficili che vengono fuori le persone speciali, le grandi individualità