Umberto Orsini recita il «Solness» di Henrik Ibsen
Umberto Orsini protagonista da stasera del dramma di Henrik Ibsen, «Il costruttore Solness», con la regia di Alessandro Serra
I giovani Non ne ho paura. Spesso li scelgo per affiancarmi negli spettacoli. Non temo la contaminazione, anzi, l’ho sempre cercata Soggetto «È un testo della maturità del grande autore norvegese. Il personaggio vive un segreto, uno spettro nascosto nell’armadio»
Un imprenditore senza scrupoli, la sua vita segnata da uno spregiudicato esercizio del potere. È Il costruttore Solness, testo di Henrik Ibsen, poco frequentato sui palcoscenici italiani, ora interpretato da Umberto Orsini, al Teatro Eliseo da stasera al 22 marzo con la regia di Alessandro Serra.
«È un testo della maturità del grande autore norvegese — avverte Orsini — e, come avviene spesso nel suo teatro, il personaggio vive drammaticamente un segreto, uno spettro nascosto nell’armadio. Ma è anche un uomo terrorizzato dai giovani che bussano alla porta dei vecchi per costringerli a farsi da parte. Lo spettacolo, ambientato in una sorta di spazio
mentale, vive molto dei suoi silenzi. Nel silenzio, a volte, si dice molto di più che con le parole».
Orsini, però, è contornato da attori giovani, tra i quali Lucia Lavia. «Tutta la mia vita professionale è in contraddizione con la paura dei giovani, che molto spesso scelgo per affiancarmi negli spettacoli. Non temo la contaminazione, anzi, l’ho sempre cercata. Non mi sono mai arroccato sul mio teatro di tradizione, del quale sono un esponente, credo, emerito. Mi sono sempre lasciato contaminare da loro, approfitto della loro freschezza e positività. E tra noi si è sempre creato uno scambio proficuo. Quello di Solness, invece, è non tanto il timore della gioventù, quanto della sua terrificante rincorsa da parte di un uomo in là con l’età. In sostanza, è la metafora di un individuo che va oltre le sue possibilità per ritornare quello che era, cioè giovane».
E a proposito di giovani, cosa ne pensa Orsini del recente successo di Elio Germano alla Berlinale con la sua interpretazione di Antonio Ligabue? «È un attore con cui mi è capitato di lavorare nel film Il mattino ha l’oro in bocca, ispirato all’autobiografia di Marco Baldini, impersonato proprio da Germano, che mi è subito apparso un fuoriclasse».
Ma l’ex giovane Orsini, torna all’Eliseo dove debuttò da ragazzo con la Compagnia dei Giovani
e di cui è stato poi direttore artistico. «Mi preoccupa molto l’ipotesi che un palcoscenico tanto importante, che ha contribuito a costruire la storia del teatro non solo italiano, possa chiudere: sarebbe una vera sciagura. Lì ho iniziato la mia carriera e, con questo mio ritorno, non vorrei che si chiudesse un cerchio». Anche perché, per via del coronavirus, si consiglia agli over 65 di restare a casa: «Mi pare che tutta l’emergenza sia stata gestita in Italia molto male: prima con misure eccessive come fosse una catastrofe, poi con una clamorosa marcia indietro. E il fatto che noi italiani siamo ormai considerati degli untori mi fa rabbrividire e riflettere: tocchiamo con mano cosa vuol dire essere dei reietti. Fino a ieri i reietti erano altri, oggi siamo noi e ci impediscono di sbarcare». Nonostante l’emergenza, però, Orsini continua la sua tournée non solo con Ibsen, ma anche con delle serate, in giro per il Paese, dedicate ai gatti: «A proposito dei gatti si intitola lo spettacolo che ho portato in giro: un assemblaggio raffinato di aneddoti, aforismi, poesie che ruota attorno all’animale domestico. Io adoro i gatti e in una casa in campagna vicino Roma ne ho avuti molti: ho dato loro nomi di personaggi teatrali. Tra i tanti, un gatto nero, lo chiamai Otello e — conclude divertito alludendo alle Gemelle Kessler, avendo avuto una storia sentimentale con Ellen — due gatti siamesi li ho chiamati Dadaumpa».