Smart working, serve una piattaforma adeguata
IL LAVORO DA CASA È VITALE
Imomenti difficili non lasciano scampo: sono quelli in cui si fanno i conti e il tempo sprecato appare nitido: se ne vorrebbe dell’altro, ma dell’altro non c’è. Non riguarda solo la sanità, ma anche altri aspetti dell’organizzazione pubblica che l’epidemia ha messo in luce.
Roma, il Lazio, l’Italia potrebbero rispondere meglio al blocco delle attività, se potessero usare le nuove tecnologie che permettono di lavorare da casa: il telelavoro e, soprattutto, il lavoro agile che, come dice il termine, ha una grande flessibilità e perciò potrebbe essere usato secondo bisogno e opportunità. Oggi sarebbe non solo utile, ma vitale perché permetterebbe a migliaia di persone di non muoversi da casa e comunque di lavorare e dare così il proprio contributo alla collettività.
Per Roma, città impiegatizia, lo smart working (cioè la possibilità di lavorare da casa come in ufficio per alcuni giorni della settimana, ma adesso tutti i giorni fino al 3 aprile) sarebbe formidabile. Il Comune sta provando a farlo nelle condizioni possibili e in Regione si potrebbe arrivare al 10 % degli impiegati. Ma non è facile, perché lo smart working non è banale, non richiede solo un computer e una rete.
«C’è un problema di sicurezza. Chi ha accesso? Chi deve gestire le credenziali?
C’è bisogno di una piattaforma tecnologicamente adeguata, un network abbastanza potente per trasmettere una grande quantità di dati e di un cloud, cioè uno spazio virtuale in cui ciascuno possa mettere le cartelle di lavoro (come si fa nel computer di casa), scambiarle, riceverle e lavorarci. Ovviamente, c’è anche un problema di sicurezza: chi ha accesso? Come vanno gestite le credenziali? Qual è la «scalabilità» del sistema, chi può accedere ad alcune aree e chi no?
Come si impediscono gli hackeraggi (cioè le intrusioni malevole) di chi vorrebbe impossessarsi di dati sensibili? Come si verifica il lavoro a casa? Inoltre, ha bisogno di una rivoluzione nell’organizzazione del lavoro, cambiando le funzioni e il modo in cui i cittadini ricevono i servizi, perché altrimenti è inutile o dannoso.
Oggi al massimo si può allacciare il proprio computer con la rete dell’ente locale, non molto di più. In assenza di una riorganizzazione degli uffici, lo smart working «accidentale», cioè provocato dall’epidemia e non dalla visione tecnologica, rappresenta una salvaguardia sanitaria per i lavoratori e una risposta alle direttive del governo, ma non per dare migliori servizi ai cittadini romani, e probabilmente neppure quelli disponibili finora, perché restando identica l’organizzazione, in alcuni casi sarà impossibile farlo. Ad esempio, chi stava allo sportello (o subito dietro) e adesso lavorerà da casa, non avrà interfacce tecnologiche con gli utenti.
Ok c’è l’emergenza. Non possiamo farci nulla, adesso. Però usciti dall’emergenza, facciamo presto a dare alla città quello che è già ovvio nei paesi europei (Italia è ultima in questo campo), perché lo smart working è fisiologia del lavoro, non (solo) una risposta alle patologie sanitarie. Ci renderà migliori anche nei tempi normali.
Poca gente alle fermate dei bus