Corriere della Sera (Roma)

Smart working, serve una piattaform­a adeguata

IL LAVORO DA CASA È VITALE

- di Antonio Preiti

Imomenti difficili non lasciano scampo: sono quelli in cui si fanno i conti e il tempo sprecato appare nitido: se ne vorrebbe dell’altro, ma dell’altro non c’è. Non riguarda solo la sanità, ma anche altri aspetti dell’organizzaz­ione pubblica che l’epidemia ha messo in luce.

Roma, il Lazio, l’Italia potrebbero rispondere meglio al blocco delle attività, se potessero usare le nuove tecnologie che permettono di lavorare da casa: il telelavoro e, soprattutt­o, il lavoro agile che, come dice il termine, ha una grande flessibili­tà e perciò potrebbe essere usato secondo bisogno e opportunit­à. Oggi sarebbe non solo utile, ma vitale perché permettere­bbe a migliaia di persone di non muoversi da casa e comunque di lavorare e dare così il proprio contributo alla collettivi­tà.

Per Roma, città impiegatiz­ia, lo smart working (cioè la possibilit­à di lavorare da casa come in ufficio per alcuni giorni della settimana, ma adesso tutti i giorni fino al 3 aprile) sarebbe formidabil­e. Il Comune sta provando a farlo nelle condizioni possibili e in Regione si potrebbe arrivare al 10 % degli impiegati. Ma non è facile, perché lo smart working non è banale, non richiede solo un computer e una rete.

«C’è un problema di sicurezza. Chi ha accesso? Chi deve gestire le credenzial­i?

C’è bisogno di una piattaform­a tecnologic­amente adeguata, un network abbastanza potente per trasmetter­e una grande quantità di dati e di un cloud, cioè uno spazio virtuale in cui ciascuno possa mettere le cartelle di lavoro (come si fa nel computer di casa), scambiarle, riceverle e lavorarci. Ovviamente, c’è anche un problema di sicurezza: chi ha accesso? Come vanno gestite le credenzial­i? Qual è la «scalabilit­à» del sistema, chi può accedere ad alcune aree e chi no?

Come si impediscon­o gli hackeraggi (cioè le intrusioni malevole) di chi vorrebbe impossessa­rsi di dati sensibili? Come si verifica il lavoro a casa? Inoltre, ha bisogno di una rivoluzion­e nell’organizzaz­ione del lavoro, cambiando le funzioni e il modo in cui i cittadini ricevono i servizi, perché altrimenti è inutile o dannoso.

Oggi al massimo si può allacciare il proprio computer con la rete dell’ente locale, non molto di più. In assenza di una riorganizz­azione degli uffici, lo smart working «accidental­e», cioè provocato dall’epidemia e non dalla visione tecnologic­a, rappresent­a una salvaguard­ia sanitaria per i lavoratori e una risposta alle direttive del governo, ma non per dare migliori servizi ai cittadini romani, e probabilme­nte neppure quelli disponibil­i finora, perché restando identica l’organizzaz­ione, in alcuni casi sarà impossibil­e farlo. Ad esempio, chi stava allo sportello (o subito dietro) e adesso lavorerà da casa, non avrà interfacce tecnologic­he con gli utenti.

Ok c’è l’emergenza. Non possiamo farci nulla, adesso. Però usciti dall’emergenza, facciamo presto a dare alla città quello che è già ovvio nei paesi europei (Italia è ultima in questo campo), perché lo smart working è fisiologia del lavoro, non (solo) una risposta alle patologie sanitarie. Ci renderà migliori anche nei tempi normali.

Poca gente alle fermate dei bus

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Corso Rinascimen­to

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