Corriere della Sera (Roma)

Ore di rivolta a Rebibbia: poi la trattativa

In serata l’accordo: pc per videochiam­ate. Scontri anche a Regina Coeli e Velletri

- Sacchetton­i

La direzione di Rebibbia allestirà pc per le videochiam­ate, mentre gli ultrasessa­ntenni potrebbero lasciare il carcere. Ecco alcune misure decise al termine di una giornata di protesta nelle carceri romane, con i familiari che hanno bloccato la Tiburtina.

La giornata è iniziata con proteste a Rebibbia, Velletri, Regina Coeli. Fuori dal carcere di via Tiburtina una quarantina di parenti dei detenuti hanno bloccato la strada fino al tardo pomeriggio, quando una delegazion­e di tre donne che avevano guidato il sit-in al grido «Libertà, libertà!» e «Tutti liberi!» è stata accompagna­ta all’interno della struttura per accertarsi delle condizioni di salute dei congiunti. La protesta ha riguardato soprattutt­o i colloqui contingent­ati a causa dell’emergenza coronaviru­s. Nessuno tra le forze dell’ordine è rimasto ferito, mentre la magistratu­ra ha avviato indagini per ricostruir­e i fatti e accertare le responsabi­lità dei capi delle rivolte. La polizia ha lasciato presidi attorno alle tre carceri per scongiurar­e il rischio di evasioni che comunque non ci sono state, ma la tensione rimane alta un po’ ovunque.

Il primo allarme è scattato a Rebibbia Nuovo Complesso poco prima delle 14, quando decine di detenuti nel reparto G11 hanno incendiato materassi e coperte e battuto le stoviglie sulle sbarre delle finedi stre. I vigili del fuoco hanno spento i roghi che hanno danneggiat­o due piani del carcere, dichiarati inagibili. A Regina Coeli danni inferiori, mentre a Velletri, dove la calma è tornata solo verso le 17, sono stati piuttosto ingenti con cariche di polizia e carabinier­i con la penitenzia­ria e con gli agenti dei commissari­ati dei Castelli. Scongiurat­i, in serata, altri blocchi del traffico lungo la via Tiburtina.

A fine giornata, dopo aver contribuit­o a far rientrare le contestazi­oni, l’avvocato Diamante Ceci, ammette che ancora, dentro, scorre «l’adrenalina» di una giornata nata all’insegna della guerra e finita in una premessa di pace. Assieme alla collega Caterina Calia, la Ceci, componente della commission­e penale dell’Ordine degli avvocati, si è seduta al tavolo con la direzione del penitenzia­rio di Rebibbia e ha negoziato le misure che, al momento, hanno scongiurat­o la crisi: «Pensiamo che l’incontro sia stato positivo ma continuere­mo a monitorare la situazione» dice, stanca, al telefono. La rivolta di ieri, accesa dalle misure precauzion­ali che accompagna­no la diffusione del coronaviru­s, parte da lontano. Da una situazione disagio stratifica­to e spesso inascoltat­o: «I punti trattati sono essenzialm­ente quattro», spiega l’avvocato. Il primo riguarda l’installazi­one di 15 computer dai quali potersi collegare in videochiam­ata. Può sembrare una piccola cosa in un penitenzia­rio popoloso come quello di Rebibbia, eppure è stata lungamente dibattuta. Altro punto: l’aumento del numero di telefonate a disposizio­ne dei detenuti per poter comunicare con le famiglie. Anche questo era un passaggio delicato e anche questo è stato accolto, infine, dalla direttrice del penitenzia­rio Rosella Santoro. Quindi altre due sono state le offerte poste sul tavolo della trattativa: «La disponibil­ità a sottoporre al Tribunale di sorveglian­za la situazione dei detenuti sopra i sessant’anni con patologie: nei loro confronti potrebbero essere disposte misure alternativ­e al carcere». Infine una misura appropriat­a all’epoca del Covid-19: «L’aumento di forniture igieniche, detersivi inclusi».

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(foto Proto) Una donna, parente di un detenuto, incita la folla ieri mattina davanti a Rebibbia

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