Enrico Brignano: «Je la famo pure a ’sto giro»
Enrico Brignano racconta vizi e virtù degli italiani in questi tempi duri
❞ Centinaia di persone sono corse a fare la spesa, accalcate, a respirarsi addosso e a dirsi “ma dove andremo a finire?”. C’è da rispondergli: “all’ospedale, signo’!”
Il comico romano ha dovuto sospendere il suo nuovo show «Un’ora sola vi vorrei» ma è ottimista: sono certo che la nostra natura indomita verrà fuori e sapremo rialzarci
Era sold out fino a tutto marzo, ma il suo spettacolo di grande successo, Un’ora sola vi vorrei, ha dovuto abbassare il sipario al Teatro Brancaccio, fino a nuovo ordine. Enrico Brignano non ne è felice, ma si attiene alle regole. «Questi sono tempi duri, non c’è dubbio - esordisce l’attore romano - Dal canto mio sto cercando di seguire le direttive del governo, quindi esco il meno possibile e, quando sono in posti con altre persone, come al supermercato (sì, perché la spesa tocca spesso a me!), cerco di mantenere la distanza consigliata di un metro... Mo’, magari saranno 98 cm, ma stai a guarda’ er capello... E lo faccio più per la mia famiglia che per me. Una cosa, però, mi ha stupito nel comportamento degli altri». Quale? «Ho notato in moltissime persone un comportamento irresponsabile: con l’incertezza che c’è, con il rischio di trovare gli ospedali strapieni e non venire curati, uno dovrebbe evitare di portarsi a casa un virus che, forse, non crea problemi a sé stessi, ma potrebbe mettere in pericolo la mamma cardiopatica o lo zio immunodepresso, no?!».
È stato stupito anche dalla fuga da Milano? «Accidenti! Guardando il video di quelle persone che scappavano verso il sud, facevo fatica a capacitarmi. Ho provato a mettermi nei loro panni e mi sono chiesto: che avranno pensato? “Vado da mamma a mangiare la parmigiana, perché se devo mori’, preferisco che sia per il colesterolo e non per il coronavirus”. Questo avranno pensato?». Una critica, la sua, all’italianità? «Sì, lo ammetto. A volte questa italianità che se ne sbatte di tutto, mi dà sui nervi. Va bene essere un po’ guasconi, va benissimo non farsi prendere dal panico, ma nei servizi giornalistici vediamo ragazzotti che non riescono a rinunciare alla birrette del week end nei locali strapieni, alla faccia delle raccomandazioni di non assieparsi in luoghi chiusi e mantenere le distanze!». Ma sono ragazzi... «Sì, però secondo me sono anche il segnale di una faciloneria che dovremmo evitare. A meno che queste persone che escono, in barba ai divieti, e frequentano ancora i locali, non firmino una liberatoria». Quale dovrebbe esserne il contenuto? «Se mi ammalo, non curatemi per primo, perché me la sono cercata. Sono darwiniano ed è giusto sacrificarmi, perché la selezione della specie prevede che la stupidità porti all’estinzione». Un contenuto duro! «Sì, ma forse con un documento scritto in questi termini, i temerari ci ripenserebbero. Il governo non è arrivato a tanto ma ha esteso le regole delle zone rosse a tutt’Italia. Il premier Conte ci ha detto che non si può uscire se non per comprovate necessità. Un messaggio semplice, preciso. Ma un’ora dopo il suo discorso, che annunciava le nuove restrizioni, centinaia di persone sono corse a fare la spesa tutte insieme, accalcate, in fila, a respirarsi addosso e a dirsi “ma dove andremo a finire?”. C’è da rispondergli: “All’ospedale, signo’! Se continua a comportarsi così, è sicuro». Una roba da fine del mondo? «Direi di sì, ma in fondo quest’arroganza estrema e di non rispetto delle regole mi ha anche un po’ rassicurato. Ultimamente ho avvertito segnali quasi filo-fascisti: parecchie persone inneggiavano alla
“buonanima”, rimpiangendo i tempi in cui “c’era lui” e i treni arrivavano in orario. Qualcuno dei nostri politici un po’ lo scimmiottava pure, il duce. Ma se noi non siamo in grado di seguire dei consigli per la nostra salute, figuriamoci se riusciremmo a sopportare una dittatura! Quindi mi sono tranquillizzato».
La quarantena dovrebbe finire il 3 aprile: c’è speranza di tornare in palcoscenico? «Sono ottimista, spero che, da quella data, il peggio sarà passato e con la primavera rinasca la vita. Guardo sempre avanti e, così come dovremmo evitare il nostro lato italiota strafottente, sono certo che la nostra natura indomita verrà fuori e sapremo rialzarci. Nel dopoguerra, il termine “made in Italy” era un’avvertenza che gli americani ponevano sulle nostre merci come a dire “non valgono niente, se proprio le volete comprare, cacchi vostri”. Oggi quel made in Italy è sinonimo di qualità, quindi ricarichiamo le batterie, e torneremo in campo “più belli e più forti che pria”, come diceva Petrolini. Secondo me, je la famo pure a ‘sto giro. Il mio spettacolo si intitola Un’ora sola vi vorrei, e vi voglio ancora più forti per divertirci insieme, con senso di responsabilità e coesione. So che non mi deluderete».