Bar e ristoranti chiusi In una città spettrale il decreto viene rispettato
Misure rispettate. La Fiepet: perdita di 40 milioni al giorno
Neppure Charles Bukowski, forse, si sarebbe adattato a brindisi mattutini come quelli che attendono Trastevere. O Campo de’ Fiori. O il Pigneto. La notte non ha più tenerezze da offrire ma solo l’inquieto rispetto di un decreto legge d’urgenza. Piazza Trilussa, cuore (chiassoso) della movida, abbassa le saracinesche, piegata dall’emergenza Covid-19. Rudimentali cartelli compaiono sulle serrande lungo via Benedetta o vicolo del Cinque che un tempo anticipavano festanti l’orgia alcolica del quartiere: «Gli affari sono decimati», dice Eleonora Spada davanti all’ex «Friends» di piazza Trilussa.
«Abbiamo deciso di aprire un’ora dopo e chiudere un’ora prima del decreto: così risparmiamo un turno del personale», aggiunge con un lampo di dubbio negli occhi: «È solo per un po’, giusto?». Non può sapere che la sua associazione di categoria, la Fiepet, stima per le 18mila aziende romane (tra bar e ristoranti) una perdita di circa 40 milioni al giorno e che Claudio Pica, il presidente, valuta sui 10-15 mila i posti di lavoro che potrebbero andare perduti a causa dell’epidemia, oltre il 20%. Più in là, di fronte alla sua pizzeria ormai chiusa, Alberto Cagliostro declina con rabbia la sua storia: «Facevo 1.500 euro al giorno, ne ho fatti 77 oggi. Ho 12 dipendenti in ferie forzate. Pago 10mila euro di affitto al mese: che succede se salto una mensilità? Abbiamo chiesto al Comune di sospendere la tassa di occupazione di suolo pubblico, sarebbe qualcosa. Ma zero risposte. Gli affari sono calati del 90%».
Mentre i mini-market rimangono aperti sempre, i ristoratori del centro storico si sono tenuti in contatto negli ultimi giorni ma quello che sta avvenendo era inimmaginabile solo ieri. «Con il torneo Sei Nazioni abbiamo lavorato molto - spiega Simone, cameriere di una pizzeria -, poi i college hanno chiuso, gli americani sono tornati a casa, il turismo è venuto meno e ora la situazione è questa». Chiude anche il ferramenta («Ormai dice - vendiamo solo mascherine e gel»). Accade anche dall’altra parte del Tevere. Campo de’ Fiori, via dei Giubbonari, via dei Baullari ridotte a quinta spettrale dell’area monumentale: «Rischiamo di chiudere anche noi ed è triste, dopo cent’anni di attività - spiega Riccardo Ruggeri dal negozio di gastronomia sulla piazza -. Senza turisti questo quartiere non esiste più. I residenti? Tranne una decina di clienti, in zona, non è rimasto più nulla. Sono solo bed and breakfast».
La salsamenteria ancora aperta a Campo de’ Fiori
Il bar San Calisto chiuso a Trastevere
Non si può dare al coronavirus colpe che non gli spettano. La forzosa messa a reddito di ogni centimetro della piazza ha svuotato l’anima abitudini. Eppure, chissà, potrebbe perfino far spuntare nuove idee imprenditoriali. La fetta di mercato delle consegne a domicilio potrebbe salire. I rider della Capitale si aspettano di lavorare di più in questi giorni. Rider come Nicolò Montesi (Associazione nazionale autonoma riders) si sono attrezzati. Lui, Montesi, ha indossato guanti e mascherina e ha con sé il gel igienizzante. E così tutti gli altri. Lascerà il cibo sul pianerottolo senza avere contatti ravvicinati con i clienti. In un gruppo whatsapp con 60 rider, 40 lavoreranno stasera e nelle prossime sere. Solo pochi di loro hanno deciso di restare a casa. Dalla paura, a volte, nascono idee.