La Confcommercio: «Aiuti, oppure la categoria muore»
Da oggi saracinesca giù per le 70 mila attività. Già ieri, la metà abbassate
Valter Giammaria «Adesso aspettiamo incentivi adeguati per le imprese e la cassa integrazione» Via Condotti Gianni Battistoni ha inviato ieri una lettera che anticipava le decisioni dell’esecutivo
Già chiuso, fin da ieri mattina, un negozio su due. Dopo aver adottato, due giorni fa, l’orario ridotto (11-18), ieri la metà degli esercenti ha deciso di fermarsi. E oggi tutti i 70 mila negozi romani non rialzeranno le saracinesche come imposto ieri sera dal nuovo decreto del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.
«Il problema è sanitario e speriamo che ci aiuti ad uscire al più presto dall’emergenza - dice Valter Giammaria, presidente di Confesercenti -. Adesso aspettiamo incentivi adeguati per le imprese, mi riferisco alla casa integrazione in deroga. Altrimenti il commercio muore. E ci deve essere un forte aiuto al personale, sto parlando di commesse, commessi e delle migliaia di nostri dipendenti». Per il direttore di Confcommercio Roma, Pietro Farina, «il provvedimento è coerente con tutto quello che è stato fatto vista la situazione attuale». Perfino nella via dello shopping per antonomasia, via Condotti, ieri mattina il presidente Gianni Battistoni ha inviato una lettera ai suoi associati che, anticipando le decisioni dell’esecutivo, invitava a rimanere con le saracinesche abbassate. La serrata imposta da Palazzo Chigi però era nell’aria: infatti David Sermoneta (Confcommercio Centro Storico), raccontava che mercoledì «in via Frattina più della metà dei negozi è già chiusa e in via della Vite lo sono quasi tutti». Realtà confermata da Giovanna Marchese Bellaroto, presidente di Cna Commercio, secondo cui molte attività «a fronte di incassi crollati del 98%», abbiano abbassato le saracinesche anche «a Balduina, viale Marconi, Parioli e Prati».
Facendo un giro in città, però, Roma già ieri mattina appariva deserta. La prima a chiudere è stata la Rinascente di via del Tritone, seguita dal punto vendita in piazza Fiume.
Anche un megastore come Decathlon ha annunciato lo stop. «Ci adeguiamo alla direttive del governo — confida la responsabile di Maesano in piazza Fontanella Borghese — abbiamo dei lavori da fare e ne approfittiamo». «Non c’è nessuno in giro, né romani, né turisti», osserva sconsolata una commessa di Laura Biagiotti in via Belsiana. Percorrendo via di Capo le Case in direzione di piazza di Spagna sono molte le saracinesche con la scritta «chiuso per ferie fino al 3 aprile», data di scadenza del decreto governativo. A due passi da Montecitorio anche la gelateria Giolitti si è fermata. Come pure il negozio di abbigliamento Davide Cenci in via di Campo Marzio :«Abbiamo chiuso per tutelare anche i nostri trenta dipendenti - spiega il responsabile -. Dobbiamo pensare anche a loro che stanno a contatto con i clienti ogni giorno». Sono ferie forzate? «Aspettiamo le indicazioni del governo, confidando nella cassa integrazione», è la risposta. Probabilmente se lo augurano anche commessi e commesse, fra i quali pare ci sia un certo malumore per le ferie fuori tempo. Ma in tanti auspicano al più presto sgravi fiscali e aiuti per pagare le bollette, come fa notare un negoziante di via Condotti. Al Ghetto, nello storico negozio di oggetti per la casa il gestore Leone Limentani dice: «Speriamo di avere i soldi per pagare gli stipendi. Chiudere è complicato: siamo anche fornitori di hotel e ristoranti e abbiamo ordini in corso. Probabilmente rimarremo aperti per appuntamento». In via del Portico d’Ottavia ristoranti solitamente affollati come Bellacarne e Baghetto avevano già abbassato le saracinesche. Stessa sorte per Coin in via Cola di Rienzo. E in via dei Gracchi il Gianfornaio (bar e gastronomia), chiedendo di rispettare la distanza di oltre un metro prevista dal decreto, confida: «Chiuderemo tutti i sei punti vendita a Roma perché non possiamo mettere a rischio la salute dei dipendenti: le mascherine stanno finendo».