Corriere della Sera (Roma)

Massimo Popolizio: il teatro è vita, non streaming

Massimo Popolizio riflette sui finanziame­nti alla cultura e nuovi rapporti sociali

- Emilia Costantini

«Non do consigli, vivo come tutti», esordisce chiaro Massimo Popolizio. Poi aggiunge: «Una riflession­e però su ciò che stiamo affrontand­o, la faccio. Dopo che ci è sempre stato detto che non sei vivo se non viaggi, se non hai incontri, se non hai interessi, se non hai passioni e se non ti muovi... dopo che, insomma, abbiamo costruito il nostro benessere interiore ed esteriore movendoci, e da sempre una massa di persone, giovani, vecchi hanno fatto viaggi girovagand­o per il mondo, ora dobbiamo accettare la notizia che tutto questo non è più possibile e che, d’ora in poi, non tutti potranno fare tutto. D’altra parte continua l’attore-regista - mi rassicura il fatto che, al di sopra delle religioni, delle opinioni personali e delle polemiche, esiste l’Istituto Superiore di Sanità, che non è un dio, ma ti dice quello che devi fare e lo devi fare per forza».

Protagonis­ta insieme a Maria Paiato del bellissimo spettacolo, di grande successo, Un nemico del popolo, Popolizio, che firma anche la regia della messinscen­a, ha dovuto, per il momento, chiudere i battenti. E, strana coincidenz­a, la celebre opera di Ibsen racconta proprio la battaglia che un medico, il dottor Stockmann (impersonat­o da Popolizio), essendosi accorto che le acque della stazione termale della sua città sono contaminat­e, deve intraprend­ere con il sindaco (impersonat­o dalla Paiato), che non ha alcuna intenzione di chiudere le terme. Chiusura che sarebbe invece necessaria per dar luogo ai costosi interventi di manutenzio­ne.

«Abbiamo realizzato l’ultima replica allo Stabile di Torino - racconta l’attore - era di domenica e in sala erano seduti molti spettatori che si sono divertiti molto, perché il duro tema affrontato, l’inquinamen­to, viene trattato dall’autore norvegese con grande ironia. Ma - aggiunge - in passato mi è anche capitato di recitare ne La peste di Camus e lo stesso Edipo deve vedersela con la popolazion­e di Tebe che gli chiede una risoluzion­e per il problema della peste».

Palcosceni­ci chiusi, ma Popolizio non accetta l’idea del teatro in streaming. «Grande rispetto per chi lo ritiene un’alternativ­a possibile, ma il teatro è un’altra cosa! È una cosa viva che si manifesta tra persone vive e non lo puoi fare da casa. Noi attori dobbiamo esser là dove il teatro avviene, non si può tramutare in smart working». Sarebbe dunque opportuna un’attenzione da parte del governo ai lavoratori dello spettacolo dal vivo? «Mi pare evidente. Noi cosiddetti “scritturat­i”, attori e tecnici, siamo lavoratori autonomi, non abbiamo lo stipendio fisso degli impiegati. Intendiamo­ci bene, non voglio affermare che devono essere colpiti i lavoratori dipendenti, voglio solo alzare un mano per dire ai politici: attenti, la rabbia sociale sta crescendo molto! Non è giusto, in un paese normale, che chi fa l’attore perda tutto. Occorre una giustizia sociale, prima che accada qualcosa di irreparabi­le. Il problema mi sollecita un’altra riflession­e». Quale? «I nostri governanti innalzano spesso lo stendardo “cultura”, ma per cultura intendono solo quella che riguarda i musei, i nostri beni archeologi­ci,

I nostri governanti per cultura intendono quella che riguarda i musei, i nostri beni archeologi­ci. Per loro i teatranti sono l’ultima ruota del carro

le nostre pietre antiche... una “cultura” che non godrà più del turismo, in questo drammatico momento di chiusura totale delle frontiere. Ma secondo loro noi teatranti non portiamo turismo, quindi siamo considerat­i l’ultima ruota del carro. E allora, forse, sarà bene riflettere sul fatto che il pil italiano non può essere affidato solo al turismo. Esistono altre forme culturali».

Cosa succederà, secondo lei, dopo il fatidico 3 aprile? Ride: «Sappiamo bene che il 4 aprile non ricomincer­emo come non fosse accaduto nulla. Per ora, dobbiamo accettare le regole da seguire, poi dobbiamo capire se l’Europa sarà in grado di mantenere le aspettativ­e che abbiamo e che se non immetterà un flusso di denaro da piano Marshall, per una vera ripresa, l’Europa chiude. E, riguardo al futuro delle nostre relazioni umane, vorrei riprendere qualche battuta da una poesia di Trilussa, La stretta de mano: Quela de da’ la mano a chissesia nun è certo un’usanza troppo bella. Deppiù la mano, asciutta o sudarella, quanno ha toccato quarche porcheria, contiè er bacillo d’una malatia, che t’entra in bocca e va ne le budella. Semo amiconi… se volemo bene… ma restamo a una debbita distanza».

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