Daniele Mencarelli nella dozzina del Premio Strega
In un periodo come questo le belle notizie sono ancora più belle e su Daniele Mencarelli entrare nella dozzina dei finalisti del Premio Strega con il suo nuovo romanzo Tutto chiede salvezza, cade come un balsamo: «Vivo il momento delle presentazioni come una grande occasione di scambio e d’incontro, come fosse la semina». Non potendo per ovvie ragioni girare l’Italia in promozione, questa nomination è l’opportunità per mantenere vivo l’interesse sul lavoro svolto, almeno fino a quando a giugno si deciderà per la cinquina.
Dopo molti libri di poesia, questo secondo romanzo segue La Casa degli sguardi pubblicato anch’esso con Mondadori nel 2018 - otto edizioni grazie soprattutto al passaparola, i premi Volponi, Severino Cesari e John Fante e un’eccellente accoglienza critica. Anche qui Mencarelli torna spietatamente ad attingere dalla propria biografia e di nuovo nel momento in cui questa incrocia il sistema sanitario nazionale. Se nel romanzo d’esordio era un’inserviente dell’ospedale Bambin Gesù di Roma addetto alle pulizie dei gabinetti, qui è ventenne e viene sottoposto ad un Tso, trattamento sanitario obbligatorio, in seguito a una violenta esplosione di rabbia. «Quella del medico è una delle professioni che definisco “sentinella”, perché incarna l’idea di un’umanità che va difesa. Ho avuto esperienza di dottori che vivono totalmente assorbiti dalla loro missione, ma rispetto al mio ultimo romanzo – spiega – senza voler dare giudizi che non spettano allo scrittore e soprattutto riguardo al settore della psichiatria, quando un uomo cerca di curare un suo simile come se fosse un ingranaggio di carne, di leggerlo come una serie di dati e poi si affida a una pozione che pretende magica, spesso è destinato al fallimento». Nel romanzo due figure di psichiatri: uno è svuotato e apatico, l’altro è curioso e acceso. Entrambi si espongono a qualcosa che non conoscono, rispondono inaspettatamente alla realtà dei pazienti che incontrano.
Romano di Ponte Mammolo, classe 1974, Mencarelli vive ad Ariccia da quando ha 8 anni. «Ora appartengo al grande bacino della provincia. La vicenda a cui mi riferisco si è svolta nel 1994 all’ospedale civile San Giuseppe di Albano Laziale che oggi è chiuso, soppiantato dal Policlinico dei Castelli Romani. Credo che abbandonare la meraviglia del sistema sanitario che avevamo fino a qualche anno fa, con piccoli ospedali dislocati nel territorio ognuno con la sua specialità, come l’ostetricia a Genzano o l’ortopedia ad Ariccia, sia stato un errore».
Vera quindi la vicenda di Tutto chiede salvezza, verissimi i personaggi: i cinque compagni di stanza nel reparto che passano con lui la settimana d’internamento coatto. Accomunati dal caldo asfissiante, interrogati da medici indifferenti, maneggiati da infermieri spaventati, affacciati sul precipizio della follia, sentono nascere giorno dopo giorno un senso di fratellanza e un bisogno di sostegno reciproco mai provati. «Non ho più incontrato nessuno dei miei compagni di stanza, se non Alessandro che sembrava messo peggio, un ragazzo catatonico che oggi vedo alla fermata dell’autobus». O meglio vedeva quando ancora si poteva uscire. «Penso che questo momento ci serva a riscoprire l’enorme fonte di ricchezza che è l’incontro, riscoprire l’altro, la possibilità della tenerezza, di un abbraccio. Mia madre vive a soli quattrocento metri da qui e ieri l’ho salutata con una videochiamata». Crudele per tutti e ancor di più per chi è nato con quell’inclinazione che porta a rivedere in sogno persone incontrate trent’anni prima facendone i protagonisti dei propri romanzi.