Cosa resterà alla nostra città alla fine di questo drammatico periodo? Innanzi tutto la consapevolezza che lo smart working si può fare (e fa bene)
POCHE BUONE EREDITÀ
Cosa resterà fra i Romani dello sconvolgimento generale delle nostre abitudini, dei nostri comportamenti e, oramai, anche dei nostri pensieri? È ancora presto per dirlo sul piano della psiche collettiva (continueremo a fare le file? ci sentiremo davvero più comunità? saremo tutti un po’ più corretti su tutto? apprezzeremo ancora la competenza, che oggi disperatamente cerchiamo?). Vedremo cosa resterà.
Quel che siamo certi, invece, è che resteranno due cose: lo smart working (lavoro agile) e l’e-learning (insegnamento a distanza). Di loro, siamo certi, resterà molto, anzi si svilupperanno ben oltre quel che già si è cominciato a fare. Oggi, ad esempio, 212 impiegati del primo Municipio sono in smart working su 313, quasi il 70 %. Cosa abbiamo capito in questi giorni? Che lavorare da casa si può, e persino migliorare la produttività. Naturalmente è una rivoluzione, ci vogliono capacità tecnologiche e nuovi bilanciamenti, diversi controlli, qualità del lavoro, ma certo la strada è aperta come meglio non si poteva. Pensiamo a cosa significa per noi, capitale della pubblica amministrazione, di poter ridurre di un 20-30% gli spostamenti per lavori che, appunto, possono essere fatti meglio da casa, con beneficio di tutti.
Naturalmente bisognerà spostare online anche la domanda dei cittadini, perché anche loro vorranno evitare spostamenti, con la solita caccia al parcheggio e tutto il resto, per avere prima e meglio servizi che possono avere a distanza. Cambierà molto, cambierà tutto.
In questi giorni parecchie scuole di Roma continuano, con grande orgoglio, a fare lezione con i professori e gli studenti ciascuno a casa propria davanti al computer. L’insegnamento a distanza è presente da molti anni, ma non ha mai attecchito, almeno in Italia. Forse perché è stato sempre, esplicitamente o implicitamente, considerato come sostituivo di quello tradizionale, ma non lo è, semmai è complementare. Pensiamo a come potrebbe essere usato: per rivedere lezioni dove si è stati assenti, o per fare un “ripasso”; per i doposcuola personalizzati; per i tutor privati e pubblici; per offrire video-corsi sulle materie e gli argomenti più disparati; per i bambini che hanno dei disagi nello spostarsi; per i corsi amatoriali; per avere il meglio delle lezioni di altre scuole e, se si potesse infrangere il muro linguistico dell’inglese, anche delle migliori università americane. Quante cose sono possibili e che scopriamo solo oggi?
Il vero nuovo protagonista di questi giorni, almeno sul piano economico e sociale, è la distanza. Qualcosa che non conoscevamo: stare distanti uno dall’altro; lavorare a distanza; imparare a distanza. Abbiamo anche scoperto come ci si può sentire comunità a distanza, da un balcone all’altro, da uno sguardo all’altro. E abbiamo capito, alla fine, come la tecnologia che lavora sulla distanza, ci può avvicinare più di quanto l’epidemia ci separi, e inoltre fare insieme cose che nessuna vicinanza fisica potrebbe consentirci. Cogliamo questa opportunità.