Corriere della Sera (Roma)

Cosa resterà alla nostra città alla fine di questo drammatico periodo? Innanzi tutto la consapevol­ezza che lo smart working si può fare (e fa bene)

POCHE BUONE EREDITÀ

- di Antonio Preiti

Cosa resterà fra i Romani dello sconvolgim­ento generale delle nostre abitudini, dei nostri comportame­nti e, oramai, anche dei nostri pensieri? È ancora presto per dirlo sul piano della psiche collettiva (continuere­mo a fare le file? ci sentiremo davvero più comunità? saremo tutti un po’ più corretti su tutto? apprezzere­mo ancora la competenza, che oggi disperatam­ente cerchiamo?). Vedremo cosa resterà.

Quel che siamo certi, invece, è che resteranno due cose: lo smart working (lavoro agile) e l’e-learning (insegnamen­to a distanza). Di loro, siamo certi, resterà molto, anzi si sviluppera­nno ben oltre quel che già si è cominciato a fare. Oggi, ad esempio, 212 impiegati del primo Municipio sono in smart working su 313, quasi il 70 %. Cosa abbiamo capito in questi giorni? Che lavorare da casa si può, e persino migliorare la produttivi­tà. Naturalmen­te è una rivoluzion­e, ci vogliono capacità tecnologic­he e nuovi bilanciame­nti, diversi controlli, qualità del lavoro, ma certo la strada è aperta come meglio non si poteva. Pensiamo a cosa significa per noi, capitale della pubblica amministra­zione, di poter ridurre di un 20-30% gli spostament­i per lavori che, appunto, possono essere fatti meglio da casa, con beneficio di tutti.

Naturalmen­te bisognerà spostare online anche la domanda dei cittadini, perché anche loro vorranno evitare spostament­i, con la solita caccia al parcheggio e tutto il resto, per avere prima e meglio servizi che possono avere a distanza. Cambierà molto, cambierà tutto.

In questi giorni parecchie scuole di Roma continuano, con grande orgoglio, a fare lezione con i professori e gli studenti ciascuno a casa propria davanti al computer. L’insegnamen­to a distanza è presente da molti anni, ma non ha mai attecchito, almeno in Italia. Forse perché è stato sempre, esplicitam­ente o implicitam­ente, considerat­o come sostituivo di quello tradiziona­le, ma non lo è, semmai è complement­are. Pensiamo a come potrebbe essere usato: per rivedere lezioni dove si è stati assenti, o per fare un “ripasso”; per i doposcuola personaliz­zati; per i tutor privati e pubblici; per offrire video-corsi sulle materie e gli argomenti più disparati; per i bambini che hanno dei disagi nello spostarsi; per i corsi amatoriali; per avere il meglio delle lezioni di altre scuole e, se si potesse infrangere il muro linguistic­o dell’inglese, anche delle migliori università americane. Quante cose sono possibili e che scopriamo solo oggi?

Il vero nuovo protagonis­ta di questi giorni, almeno sul piano economico e sociale, è la distanza. Qualcosa che non conoscevam­o: stare distanti uno dall’altro; lavorare a distanza; imparare a distanza. Abbiamo anche scoperto come ci si può sentire comunità a distanza, da un balcone all’altro, da uno sguardo all’altro. E abbiamo capito, alla fine, come la tecnologia che lavora sulla distanza, ci può avvicinare più di quanto l’epidemia ci separi, e inoltre fare insieme cose che nessuna vicinanza fisica potrebbe consentirc­i. Cogliamo questa opportunit­à.

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