«Roma/amoR», memorie e speranze
In un libro la (sua) città raccontata da Portoghesi
Da molti anni vive a Calcata, nella Valle del Treja, prima di Civita Castellana, con la moglie Giovanna. Un magnifico parco con decine di animali esotici. Una casa a diversi livelli, ricavata da piccole abitazioni paesane contigue, strapiena di bellezza e cultura. Al centro del dedalo di stanze, la biblioteca con un inginocchiatoio del Settecento sotto una teca che contiene un progetto originale di Francesco Borromini: un attestato di devozione assoluta di Paolo Portoghesi all’autore di Sant’Ivo.
In questi tempi pestilenziali l’architetto della Grande Moschea, considerato il suo capolavoro, getta «un sasso nello stagno della memoria» e pubblica un libro che parla del rapporto ambivalente con la sua città: Roma/amoR. Memoria, racconto, speranza. Nel mito, Amor è il nome segreto dell’Urbe. Oggi questo palindromo vuole esprimere la complessità dei sentimenti
❞
Il futuro di questa città è nelle mani dei giovani e a loro dedico questo libro
che Portoghesi, 89 anni, prova per Roma. Delusione e speranza, tanto per cominciare. Critica e ammirazione. Perfino odio e amore. «Ho scritto questo libro per ringraziare questa città» chiarisce subito Portoghesi. «Il suo futuro è nelle mani dei giovani ai quali lo dedico. Il luogo in cui si nasce sta dentro di noi, non si può rimuovere: ha una funzione materna. Ma ai giovani dico che l’amore non è privo di giudizio, e Roma si può amare pur giudicandola. Oggi il mio giudizio è severo».
Passo dopo passo, richiamando i ricordi, Portoghesi ci porta nella Roma del Ventennio, degli anni della guerra, della ricostruzione. I suoi incontri con Mario Ridolfi e Bruno Zevi, l’insegnamento all’università, le esperienze a Milano e Venezia, il ritorno a via Gregoriana. Poi ecco l’architetto, con un racconto che va dal primo progetto di Casa Baldi alla Moschea, fino a piazza San Silvestro e alle case popolari (Ponte di Nona) e residenziali («Rinascimento» al Salario). E infine Roma: cibo, dialetto, periferie.
Una città disastrata, da odiare. Da risanare. «Oltre il raccordo anulare ci sono aggregazioni urbane che domani potrebbero diventare piccole città riqualificate, connesse tra loro da aree verdi. Oggi sono città incompiute, potrebbero essere definite». Portoghesi, alfiere del postmodern, appare amareggiato ma non perde la speranza. «Sono nate e nasceranno persone che sapranno risolvere i problemi e Roma deve continuare a vivere nelle sue contraddizioni puntando a riqualificare le periferie». L’anziano architetto apprezza «un associazionismo cresciuto negli ultimi anni che fa pensare a un possibile cambiamento che viene dal basso, dalla gente come accade, per esempio, al Trullo dove fioriscono centri di poesia e di arte. La street art può dare un contributo».
Il libro contiene disegni di opere realizzate e non, ma trascura totalmente le foto dei progetti costruiti. Si chiude con un richiamo alla recente enciclica papale sull’ambiente, tema che da anni vede in Portoghesi un convinto paladino. Assolutamente da citare, la definizione della pupilla: «Quel diaframma circolare contrattile che dentro il nostro occhio segna la soglia dell’interiorità».
Il luogo in cui si nasce non si può rimuovere: ha una funzione materna