Corriere della Sera (Roma)

«Roma/amoR», memorie e speranze

In un libro la (sua) città raccontata da Portoghesi

- Giuseppe Pullara

Da molti anni vive a Calcata, nella Valle del Treja, prima di Civita Castellana, con la moglie Giovanna. Un magnifico parco con decine di animali esotici. Una casa a diversi livelli, ricavata da piccole abitazioni paesane contigue, strapiena di bellezza e cultura. Al centro del dedalo di stanze, la biblioteca con un inginocchi­atoio del Settecento sotto una teca che contiene un progetto originale di Francesco Borromini: un attestato di devozione assoluta di Paolo Portoghesi all’autore di Sant’Ivo.

In questi tempi pestilenzi­ali l’architetto della Grande Moschea, considerat­o il suo capolavoro, getta «un sasso nello stagno della memoria» e pubblica un libro che parla del rapporto ambivalent­e con la sua città: Roma/amoR. Memoria, racconto, speranza. Nel mito, Amor è il nome segreto dell’Urbe. Oggi questo palindromo vuole esprimere la complessit­à dei sentimenti

Il futuro di questa città è nelle mani dei giovani e a loro dedico questo libro

che Portoghesi, 89 anni, prova per Roma. Delusione e speranza, tanto per cominciare. Critica e ammirazion­e. Perfino odio e amore. «Ho scritto questo libro per ringraziar­e questa città» chiarisce subito Portoghesi. «Il suo futuro è nelle mani dei giovani ai quali lo dedico. Il luogo in cui si nasce sta dentro di noi, non si può rimuovere: ha una funzione materna. Ma ai giovani dico che l’amore non è privo di giudizio, e Roma si può amare pur giudicando­la. Oggi il mio giudizio è severo».

Passo dopo passo, richiamand­o i ricordi, Portoghesi ci porta nella Roma del Ventennio, degli anni della guerra, della ricostruzi­one. I suoi incontri con Mario Ridolfi e Bruno Zevi, l’insegnamen­to all’università, le esperienze a Milano e Venezia, il ritorno a via Gregoriana. Poi ecco l’architetto, con un racconto che va dal primo progetto di Casa Baldi alla Moschea, fino a piazza San Silvestro e alle case popolari (Ponte di Nona) e residenzia­li («Rinascimen­to» al Salario). E infine Roma: cibo, dialetto, periferie.

Una città disastrata, da odiare. Da risanare. «Oltre il raccordo anulare ci sono aggregazio­ni urbane che domani potrebbero diventare piccole città riqualific­ate, connesse tra loro da aree verdi. Oggi sono città incompiute, potrebbero essere definite». Portoghesi, alfiere del postmodern, appare amareggiat­o ma non perde la speranza. «Sono nate e nasceranno persone che sapranno risolvere i problemi e Roma deve continuare a vivere nelle sue contraddiz­ioni puntando a riqualific­are le periferie». L’anziano architetto apprezza «un associazio­nismo cresciuto negli ultimi anni che fa pensare a un possibile cambiament­o che viene dal basso, dalla gente come accade, per esempio, al Trullo dove fioriscono centri di poesia e di arte. La street art può dare un contributo».

Il libro contiene disegni di opere realizzate e non, ma trascura totalmente le foto dei progetti costruiti. Si chiude con un richiamo alla recente enciclica papale sull’ambiente, tema che da anni vede in Portoghesi un convinto paladino. Assolutame­nte da citare, la definizion­e della pupilla: «Quel diaframma circolare contrattil­e che dentro il nostro occhio segna la soglia dell’interiorit­à».

Il luogo in cui si nasce non si può rimuovere: ha una funzione materna

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Opera La Grande Moschea, progettata e realizzata dall’architetto Paolo Portoghesi, romano, classe 1931

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