Con SWED il rap clandestino incontra il jazz
Il giovane cantante romano pubblica il primo disco
La voce rotonda, gutturale cesella l’ascolto: un intarsio di jazz, reggae, hip hop, ritmi sudamericani, che distilla la musica nella sua purezza. Oltre i contenuti. Si è conquistato uno spazio non etichettabile nei generi predefiniti SWED (il nome d’arte si ispira al brano The next episode di Snoop Dogg e Dr. Dre) che il 20 marzo ha pubblicato per Do Your Thang Records il suo primo album, Border Wall (in vinile e in formato digitale) in collaborazione con il produttore rap Rubber Soul e il musicista Benjamin Ventura.
Romano, 30 anni, SWED assorbe la passione per il canto dal nonno, Marcello, grande fan della lirica: «Si portava il registratore al Teatro dell’Opera per riascoltare le esibizioni a casa». Da ragazzino entra nel coro del Viscontino, se non fosse che il maestro gli suggerisce di seguire un percorso diverso per il suo timbro vocale così fuori dal comune. Negli
❞ Amo i generi che segnano momenti storici particolari come è stato per il soul con l’abolizione della schiavitù o per il reggae
anni dell’adolescenza si immerge nel jazz e nell’hip hop «nostrani»: da Paolo Conte a Joe Cassano, fino a Colle der Fomento e Cor Veleno. L’incastro giusto arriva quando Penny, rapper del collettivo Do Your Thang, lo sente cantare e si accorge del suo talento. La prima collaborazione, nel 2013, sfocia in Down the rabbit hole, progetto musicale sostenuto grazie a una campagna di crowdfunding. I riscontri sono incoraggianti, ma SWED entra in una fase di blocco, è scettico «sull’industria musicale e tutto quello che le ruota intorno a livello manageriale». Le conferme del pubblico durante i live, però, lo incoraggiano a riallacciare il filo con il suo Dna.
Dal 2018, assieme a Rubber Soul e Benjamin Ventura, inizia a lavorare a nuove basi e strumentali: un lungo processo creativo che, lo scorso gennaio, culmina nella registrazione in studio delle sei tracce del disco. Tra i singoli Gang Lords, con la partecipazione di Danno, rapper del Colle der Fomento, catapulta l’immaginario nell’America del proibizionismo. Il videoclip, per la regia di Ennio Serafini, è girato in uno speakeasy nascosto nei vicoli intorno a corso Rinascimento. La sceneggiatura da bisca clandestina, da Las Vegas anni Trenta, nel finale ammicca invece alla saga di Robin Hood. A proposito del suo bagaglio l’artista rivela una predilezione «per i generi che segnano momenti storici particolari, come è stato per il soul con l’abolizione della schiavitù o per il reggae, nei quali l’uomo tira fuori l’anima e la musica è uno strumento di liberazione».
Riflettendo sulla crisi per la pandemia da coronavirus, si dice convinto che «la sofferenza, le cicatrici che un individuo si porta dietro siano uno stimolo a dare il meglio di sé». E l’emergenza che stiamo vivendo, con lo sguardo speranzoso dei suoi 3o anni, «può riportare più autenticità anche nella musica e meno vendibilità». Costretto a rimandare il micro tour per la promozione dell’album, vorrebbe organizzare delle live session da trasmettere in streaming: «Un po’ come quando lavoravo in Argentina per una produzione cinematografica e tutti ballavano e cantavano il tango con i pianoforti per strada». Sul web le sue performance proveranno a ricreare la stessa magia.