La titolare di «’Na Cosetta»: noi rovinati, non riapriremo più
Un punto di riferimento per chi ama la musica dal vivo, un indirizzo conosciuto da tutti i romani dove, tra un piatto di spaghetti e un hamburger gourmet, capita di ascoltare Simone Cristicchi o Tony Esposito, dove Morgan ha duettato per la prima volta con Bugo e proprio su quel palco hanno esordito Calcutta e Bianco.«’Na cosetta», il bistrot & Live Club del Pigneto, che in cinque anni ha messo in scena duemila concerti, rischia di chiudere contagiato dall’emergenza coronavirus.
«Incertezza e burocrazia ci stanno annientando – racconta Chiara Ioele, 43 anni, una dei soci che gestisce il locale –. Sto studiando da giorni il decreto “Cura Italia” per trovare un appiglio che ci permetta di non soccombere. Ma a oggi non c’è nulla di quanto scritto che si possa realizzare concretamente».
Cosa chiedete?
«Al momento è tutto chiuso ma le bollette, al contrario del fatturato, non si fermano. L’affitto dobbiamo pagarlo anche se poi potremo detrarre il 60% del reddito d’imposta. Ci hanno dato anche a noi, con soli 5 dipendenti, la cassa integrazione in deroga, ma non è una misura immediata. Intanto non puoi pagare gli stipendi ed è molto frustrante. Andavamo avanti con l’incasso del giorno e ora devo dare una risposta a queste famiglie e non so come fare»
Si parla anche di prestiti agevolati.
«Non si è calcolato che, se un giorno quest’incubo finirà, ci troveremo comunque pieni di debiti. L’unica soluzione, data l’emergenza e la situazione eccezionale, era dare liquidità alle aziende in base al fatturato».
Cosa potrebbe aiutarvi?
«Uso il tempo della mia quarantena per creare una rete con altri ristoratori o gestori di locali in giro per l’Italia. E tramite la consulenza di professionisti che ci stanno dando una mano tentiamo di offrire qualche consiglio. Sento un grande sconforto e saranno tanti gli imprenditori che ne usciranno rovinati. Nessuno ha certezze sui tempi che ci aspettano, ma servirebbero decreti a lungo raggio per consentire alla gente di organizzarsi. Invece le misure messe in campo sono insufficienti e farraginose. Ce n’è poi una peggiore di tutte».
Quale?
È quella che ci impedisce di chiudere. Hanno bloccato per due mesi tutte le procedure di liquidazione delle società. Quindi non siamo nemmeno liberi di fallire. E magari poter riuscire a fare chiarezza e a sollevarci da una serie di pesi e responsabilità difficili da sostenere».
Come immagina il suo futuro?
«Sicuramente diverso da come è stato fino a un mese fa. Siamo stati i primi ad abbassare le serrande e saremo anche gli ultimi a riaprire perché la nostra attività è proprio fondata sulla socialità e la voglia di stare insieme. Non mi riesco a vedere mentre apparecchio un tavolo con un posto distante un metro dall’altro. Avrò già rinunciato a tutto. Non sono ottimista, si salveranno solo le grandi catene del fast food».