BUROCRAZIA, INCERTEZZA E IMPRESE
Pier Luigi Bartoletti guida 12 medici di base a Nerola e Contigliano
Èuna piccola grande storia. L’altro giorno, su queste pagine, Flavia Fiorentino ha raccontato la vicenda di un locale di musica dal vivo del Pigneto, ‘Na Cosetta, molto conosciuto dai romani, che rischia di chiudeÈre e di non riaprire più. Ha detto la sua titolare, Chiara Ioele: «Incertezza e burocrazia ci stanno annientando. Sto studiando da giorni il decreto “Cura Italia” per trovare un appiglio che ci permetta di non soccombere. Ma a oggi non c’è nulla di quanto scritto che si possa realizzare concretamente». Come può funzionare un Paese in cui, perfino in un’emergenza, i decreti devono essere «studiati» come epigrafi funerarie?
La frase dell’imprenditrice – drammatica proprio perché priva di retorica - è terribilmente rivelatrice. E non è azzardato immaginare possa estendersi a molte altre attività commerciali, diffuse e tipiche di una realtà come quella romana. Non solo perché mostra, con l’evidenza del caso concreto, i danni combinati della crisi sanitaria e di quella economica. Ma anche perché testimonia, con le parole di chi ne sta subendo le conseguenze, quanto sia ormai insopportabile il peso di un’altra storica emergenza italiana cui la politica non è in grado o non vuole porre rimedio.
Sono 12, volontari e appassionati. Sette donne, cinque uomini. La più giovane è una specializzanda di 29 anni, il più esperto di anni ne ha 59 ed è il vicepresidente dell’Ordine dei medici di Roma, Pier Luigi Bartoletti. È lui a guidare l’equipe di colleghi che sperimenta sul campo il protocollo dello Spallanzani per la ricerca del virus. Dopo due giorni trascorsi a Nerola (135 test effettuati) il camper attrezzato è da ieri nella nuova zona rossa di Contigliano, dove ha già compiuto 73 esami.
«Siamo un ambulatorio da campo, come quelli in guerra o nei paesi in via di sviluppo. A Nerola ci appoggiavamo nel tendone della Protezione civile, qui siamo nel vicariato».
Lei è anche il responsabile della parte logistica. Quali sono le difficoltà maggiori?
«Il cluster di Nerola ci ha spinti a partite in anticipo sul previsto e il problema ogni giorno è reperire il fabbisogno quotidiano di strumenti (tamponi, provette, aghi, disinfettanti) e protezioni (guanti, tute, mascherine, occhiali delle misure giuste). Se non ci sono, parte la ricerca in Regione, Asl e ospedali. Non andiamo a fare una comparsata e niente può essere lasciato al caso».
Come vi preparate?
«La nostra giornata comincia alla fine della precedente. In coordinamento con Protezione civile, sindaci e Asl contattiamo
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Il problema ogni giorno è reperire il fabbisogno quotidiano di tamponi, provette, aghi e disinfettanti oltre a guanti, tute, mascherine e occhiali delle misure giuste
Pier Luigi Bartoletti
le persone selezionate per il test. All’uscita dalla zona rossa sanifichiamo il camper e la mattina dopo alle 9,30 siamo di nuovo a bordo. Indossiamo per 6 ore tute termiche e, sopra, la tuta sanitaria sigillata con 5 cerottoni. E 3 paia di guanti assieme nel caso uno si buchi. Ci controlliamo a vicenda. Più complessa è la svestizione: per ogni indumento usiamo uno strato di guanti. Lo buttiamo e laviamo il successivo con la varechina. L’ultimo è per occhiali e mascherine».
Che significato date a quello che fate?
«Non si può restare in una campana di vetro: siamo medici, possiamo aiutare le persone, l’Italia e anche i colleghi. Siamo la categoria più esposta a questa patologia bastarda e non è pensabile che chi ha esercitato a studio per 20 anni si trasformi in un virus-hunter senza mezzi e preparazione. Spesso, sul posto, li sostituiamo nelle visite più delicate».
Come reagisce la gente?
«Sono tutti disponibili. Vengono avvertiti prima e chiamati per turni in modo da evitare resse o che qualcuno esca invano. Oggi (ieri, ndr) c’era una coppia bardata con le buste della spazzatura e una vecchietta senza mascherina, ma tutti così disciplinati da sembrare una caserma. Ognuno compila due schede, si sottopone al tampone e poi al prelievo del sangue. Basta una sola provetta per il test rapido e la ricerca degli anticorpi».
Per i risultati è presto?
«Dobbiamo validare un metodo di ricerca che sia sicuro e affidabile. Noi usiamo un test ideato in Cina, altrove usano test diversi. Non conta il marchio e serve anche un po’ di fortuna. Intanto stiamo attrezzando il camper con un ecografo e altri strumenti. Presto speriamo di avere un macchinario in grado di dare la risposta immediata, sarebbe una svolta».
La vita privata come risente di queste giornate?
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L’impegno
«Non è pensabile che chi ha esercitato a studio per 20 anni poi si trasformi in un virus-hunter senza mezzi e preparazione»
«Si fa fatica. Un collega dorme sul divano: i famigliari hanno paura del contagio. E tutti continuiamo a seguire i nostri pazienti. La differenza è che nessuno ci chiede più di essere visitato a casa...».