Il virus fa naufragare mare e turismo
COSÌ IL VIRUS FA FUORI IL TURISMO
Forse mai come quest’anno il desiderio di una vacanza, fosse anche breve, italiana, regionale, il più vicino possibile, è irresistibile, un orizzonte per dimenticare due mesi di vita monastica e affrontare la ripresa con energia. Ma tanta è la voglia di mare, montagna, campagna, quanto incerto se e come soddisfarla. L’idea stessa di vacanza, di contatti umani, di contaminazione sociale, di approcci ravvicinati, sembra avere in sé la temerarietà del ribellismo: la vacanza, il turismo come atto rivoluzionario.
Vincere la guerra sarà dura. Nei primi sei mesi dell’anno horribilis 2020 il turismo in Italia lascerà sul campo 40 miliardi di euro, il 73% dei 57 incassati nello stesso periodo 2019. Tra febbraio e settembre non arriveranno 25 milioni di stranieri. Una debacle visto che il 50,5% delle presenze negli esercizi recettivi viene dall’estero: Germania, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Paesi Bassi (52% del totale). Se finora sono state soprattutto le città d’arte e in parte la montagna a pagare il prezzo più alto, con l’approssimarsi dell’estate sono le località di mare a doversi misurare con la nuova realtà.
La cosiddetta blue economy conta qualcosa come 200 mila imprese, costituendo il 3.3% del Pil.
Eha un fattore moltiplicativo dell’1,9%, che porta i 47 miliardi di giro d’affari diretto a quasi cento considerando l’impatto su altri settori e mercati, come quello ittico, turistico, alberghiero, commerciale.
I soli concessionari di attività balneari sono oltre 30 mila, il 36% del totale europeo. Da loro lo Stato incassa circa 110 milioni di euro l’anno, in media 3.700 euro a stabilimento, per un business il cui giro d’affari è stimato in oltre 2 miliardi di euro. Il Lazio conta circa 350 km di costa, in gran parte sabbiosa con dune e pinete. L’offerta balneare conta 270 chilometri di costa attrezzata con un migliaio di concessioni, 850 stabilimenti balneari per una capienza di circa 80 mila ombrelloni.
La Regione offre poi circa 18 mila posti barca divisi su 41 infrastrutture portuali di diverso tipo (dalle marine ai punti ormeggio), offerta che negli ultimi anni è cresciuta grazie al successo della nautica da diporto. I comuni costieri sono 24 divisi su 3 province: Roma (Civitavecchia, Santa Marinella, Cerveteri, Ladispoli, Fiumicino, Pomezia, Ardea, Anzio e Nettuno), Viterbo (Tarquinia e Montalto di Castro) e Latina (Minturno, Formia, Gaeta, Sperlonga, Fondi, Terracina, San Felice al Circeo, Sabaudia, Latini e Itri). Il complesso dell’industria del mare laziale è una macchina che fino allo scorso anno ha girato a pieno regime. In media ogni azienda balneare assumeva da 10 a 30 addetti. Dato che, sommato all’indotto, toccava 15% della forza lavoro locale.
Tutto questo prima che il Covid-19 si abbattesse anche sulle coste del nostro Paese.
Le stime della perdita oscillano tra il 70 e l’80 per cento se la stagione balneare non inizierà entro l’inizio di giugno. Tenuto conto dell’elevato tasso di stagionalità, le imprese sono senza liquidità e i lavoratori senza stipendio. Molte imprese rischiano di morire.
Anche per questo la Conferenza delle Regioni ha chiesto al Governo l’annullamento o almeno la sospensione dei canoni demaniali per il 2020, oltre all’estensione di 15 anni delle concessioni. Si punta anche a far escludere le strutture balneari dal regime della Direttiva Bolkestein in materia di servizi passandole a quello della concessione dei beni pubblici.
Se le imprese del mare hanno enormi problemi, non meno ne conta il comparto degli agriturismi, che lo scorso anno ha registrato un fatturato di un miliardo di mezzo di euro. Si tratta di 24 mila aziende autorizzate in modo ufficiale, con un’offerta di 262 mila posti letto e 460 mila a tavola. Gli agriturismi contribuiscono per il 3,1% alle presenze totali del turismo italiano, con un bacino di clientela straniera del 59%, in gran parte proveniente da Germania, Paesi Bassi, Francia e Stati Uniti.
Nel Lazio le strutture sono 1280, con un’offerta di oltre 15 mila posti letto. Anche in questo caso, gli operatori sono in attesa di regole chiare su come gestire la riapertura in una stagione di certo diversa dalle precedenti, con un afflusso quasi esclusivo di italiani.
Per tutti, comunque, vale il principio del «basta che si riparta» per evitare che le perdite diventino tali da determinare fallimenti a catena. Molte aziende non hanno chiesto – come quelle di altri settori – il prestito di 25 mila euro messo in campo dal governo perché quello che servirebbe sono finanziamenti a fondo perduto.
La Cgia di Mestre ha calcolato che fino al 30 aprile le banche hanno girato al Fondo di garanzia del Mediocredito Centrale 45.703 mila domande. Se si tiene conto che la platea delle imprese e dei liberi professionisti interessati da questa misura è costituita da oltre 5 milioni 250 mila attività, vuol dire che solo lo 0,9% ha fatto richiesta. In molti aspettano solo regole chiare, certe e in tempi brevi.
Arrivano invece input diversi da Regioni, Asl, Governo: il distanziamento negli stabilimenti balneari, ad esempio, dovrà essere di 2 metri? Di 4? Di 10? E quali altre misure? Una lotteria. Con tutte le task force messe in campo, il silenzio è inammissibile. E dove è finito l’ormai misterioso «decreto Aprile» del quale si è detto tutto e il suo contrario? Errori dopo errori.
A oggi non sappiamo quando partirà l’estate né come finirà. Per chi va in vacanza e per chi di altrui vacanze campa. Un’estate, scrisse Gustave Flaubert, è sempre eccezionale, sia calda o fredda, secca o umida. O anche – possiamo dire oggi – da brividi. Come quella che ci accingiamo a vivere.
La «blue economy» Spiagge e nautica rappresentano il 3,3 per cento del Pil. Si teme una catastrofe
❞ Gli agriturismi nella nostra regione sono 1.280 con 15 mila posti letto
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Il 59% dei clienti veniva da Germania, Francia, Stati Uniti e Paesi Bassi
Moratoria Per salvare i balneari è stato proposto di sospendere i canoni demaniali per il 2020