IL VALORE DELL’INERZIA DOMICILIARE
Nel preparare la ripresa di tutte le attività bloccate dal Covid-19, l’Italia e la sua capitale hanno davanti due strade divergenti. La prima via consiste nel ricavare insegnamenti dalle privazioni che abbiamo subito affinché i contagi del virus fossero ridotti. La seconda nello sprecare un’occasione, e dunque rinunciare a migliorare i modelli di funzionamento e di sviluppo delle comunità alle quali apparteniamo.
La nuova versione di coronavirus ha stroncato vite, privato tanti di affetti preziosi, inflitto sofferenze a chi si è ammalato ed è sopravvissuto. Su quanti sono stati toccati soltanto dalle limitazioni dettate da ragioni igienico-sanitarie pesano invece, soprattutto, le ripercussioni economiche. Ma se ogni crisi è un’opportunità l’esperienza di due mesi di inerzia domiciliare deve risultare anche un patrimonio. Un capitale di consapevolezza, di riflessioni da investire per migliorare la qualità della nostra vita. Un secondo bivio si profila di fronte a ciascuno di noi: farsi dominare da frustrazioni accumulate e da una conseguente propensione a sotterfugi, o scegliere la strada di un reset culturale che dia senso ulteriore ad aspetti della realtà non sperimentati da noi prima del 2020.
Roma, per esempio, non la avevamo mai vista bella, pura e priva di inquinamento come quando, in marzo e aprile, siamo usciti di casa per inderogabili motivi. Deserta, incontaminata la città era come l’avevamo ammirata soltanto in pitture e stampe di secoli passati.
Non è purezza ascetica ciò che d’ora in poi va ricercato. Vanno adottate misure affinché l’inquinamento dell’aria non torni ai livelli che determinano - in tempi diluiti e in una rimozione generale del problema - malattie serie quanto il coronavirus. Dobbiamo evitare che la meraviglia e il tessuto sociale di Roma vengano sfregiati come prima da tavolini all’aperto permanentemente sconfinati dai perimetri fissati, da grumi di bancarelle lasciate stare dove non devono essere, da scarichi di merce in orari inadatti, da eccessi nella produzione di immondizie legati a un squilibrio tra numero delle licenze commerciali e capacità di varie zone a reggere ai flussi di folla.
Il Comune ha previsto che sia possibile trasferire all’aperto parte delle attività svolte prima del Covid-19 all’interno di locali. Nell’ambito delle sue competenze, è bene che un’amministrazione agisca per risparmiare depressione a economia e umore di una città. Marciapiedi potranno temporaneamente essere utilizzati più di prima per le vendite di cibo, libri, merci. Ma affinché le deroghe risultino a favore della comunità occorre che un vicolo non sia intasato da una quantità di presenze sopportabile in una strada dai marciapiedi larghi. Che le misure distinguano tra zone ad alta densità abitativa e di soli uffici. Che gli orari di attività e riposo siano rigorosamente rispettati. Che si dia respiro al volume degli affari senza generare assembramenti dai quali ricaveremmo danni ai polmoni.
Il suolo pubblico è un bene della collettività, non di chi lo arraffa per primo. Per occuparlo stabilmente occorre una «concessione». Nulla va concesso per sempre e senza vantaggi per l’intera cittadinanza. Il contenimento dei rumori molesti, l’igiene e il decoro restano preziosi. Se vengono ridotti o eliminati, questo influisce sulla salute delle persone. Aumenta la spesa per il nostro sistema sanitario. Dilata risentimenti e malumore.
Dunque il Comune e i Municipi tengano sì presente l’eccezionalità della situazione. Allo stesso tempo non scoraggino una propensione a maggiore rispetto delle regole che le settimane scorse hanno favorito. La coltivino. Evitino di rilasciare, di fatto o formalmente, licenze di umiliare bellezza e pulizia. Il rilancio dell’economia romana non sta nel permettere a pochi di trarre beneficio dalla vendita notturna di alcolici a minori, di smerciare scadenti prodotti industriali estranei al circuito produttivo locale, di lucrare sul sonno sottratto a bambini e anziani. Sta innanzitutto nel mettere a frutto l’unicità della capitale d’Italia, del suo patrimonio culturale e le qualità del suo artigianato e della sua cucina. Sta nell’incentivare un turismo che non sia «mordi e fuggi», bensì proficuo per tanti e sostenibile dai servizi urbani. Per una ripresa robusta va potenziata l’attrattiva della città. Occorrono spettacoli e rassegne originali in parchi e in aree periferiche adatte al distanziamento tra persone.
Roma non va conservata in una teca. Né merita però di essere corrosa da proterve speculazioni. Prima del Covid-19, queste avevano contraffatto i lineamenti della città e di suoi splendori. Non le si travesta, adesso, da virtù meritevoli di ripresa.