Flash mob dei negozianti a Trinità dei Monti «Così stiamo morendo»
Centro storico, vendite in calo del 70%. L’Harry’s bar resta chiuso
Si sono radunati in cima a Trinità dei Monti, per poi scendere ad adeguata distanza lungo la Scalinata. Sono decine e decine di negozianti di Roma, che, con una protesta quasi improvvisata, hanno annunciato ufficialmente lo sciopero di un giorno (o due) del 18 maggio, per attirare l’attenzione sulle loro difficoltà. «Senza aiuti del Governo il 18 non possiamo riaprire, migliaia di dipendenti sono a rischio» è scritto sui loro cartelli. Per lo più titolari di negozi di abbigliamento del Centro storico, oltre che dei centri commerciali, guidati da David Mayer Naman e Daniele Raccah. «Siamo venuti qui in forma spontanea», afferma David Mayer, 40 punti vendita in Italia e 12 a Roma, «non ci danno nessuna risposta concreta. Se il Paese non fa delle riforme strutturali, non vi è alcuna possibilità di ripresa». E più che aiuti a pioggia, chiedono una decontribuzione degli stipendi, ricordano che in Centro si pagano affitti che vanno da 6 mila euro al metro quadro al Corso agli oltre 11 mila al metro quadro per via Condotti. «Noi non chiediamo un aiuto “tappa buche”, ma concreto - aggiunge - soprattutto nei confronti della forza lavoro. Anziché la cassa integrazione in deroga, una decontribuzione degli stipendi per 12 - 18 mesi per dare dignità ai dipendenti: così non vengono licenziati e immettono soldi nel sistema facendo camminare l’economia» .
L’altro organizzatore Daniel Raccah, ad e fondatore di «Dan John», catena di abbigliamento maschile, ripete: «Insistiamo sulla decontribuzione totale per i dipendenti afferma -. Vanno finanziate le imprese, per far circolare davvero tutto il sistema produttivo. E chiediamo la rimozione delle Ztl del Centro per compensare la riduzione di flusso turistico». Interviene anche Raffaele Rubin, fondatore di Josas Immobiliare, società specialista del retail: «Secondo i nostri dati il 70 per cento delle relazioni commerciali nel centro di Roma è congelato; nelle periferie va un po’ meglio con “solo” il 30 per cento dei giri d’affari in lockdown. Prevediamo inoltre che fra luglio e agosto il 25% dei ristoranti chiuderà, perché, dopo aver tentato la riapertura, si renderanno conto di non poter proseguire con un terzo dei coperti. E stimiamo un licenziamento del 60% dei dipendenti». Non riaprirà, lunedì, l’Harry’s bar di via Veneto: «Non credo di farcela con le nuove regole e poi la responsabilità civile e penale per i dipendenti, nel caso si ammalassero, è troppo alta e pesante», dice Pietro Lepore, che da vent’anni gestisce il locale noto nel mondo come il simbolo della Dolce vita.
La Confcommercio del Centro Storico con David Sermoneta condivide «non le modalità ma le problematiche della protesta», mentre la Fipe Confcommercio ha fatto i conti: con le misure di distanziamento, una persona ogni 4 metri quadrati, i ristoranti romani perdono 246 mila posti a sedere, il 63% del totale. «Ipotesi inaccettabile» per Giancarlo Deidda, commissario di Fipe Confcommercio. E la Confartigianato con Antonio Fainella chiede subito un’ordinanza per i tavoli all’aperto «per sospendere le norme che impediscono un processo veloce».