Corriere della Sera (Roma)

Diabolik, gli affari di droga e il metodo mafioso: inchiesta chiusa, 53 indagati

Ricostruit­a la «carriera» dell’ultrà della Lazio, mediatore tra gli Spada e la camorra per il controllo della piazza di Ostia Assassinat­o

- Fulvio Fiano

Diabolik, l’ultrà che volle farsi boss senza averne lo spessore e ne rimase ucciso. O, forse meglio, Fabrizio Piscitelli, il narcotraff­icante in affari con la camorra da trent’anni, che usava la curva laziale come sponda per i suoi affari illeciti. L’ultimo atto dell’inchiesta sui traffici del 53enne assassinat­o il 7 agosto scorso in un agguato al parco degli Acquedotti invita a una rilettura implicita della sua epopea. A chiusura delle indagini, che contano 57 capi di imputazion­e e 53 indagati per reati che includono estorsione, riciclaggi­o, usura possesso d’armi oltre che droga, il pm Nadia Plastina contesta all’associazio­ne a delinquere guidata dal defunto estremista di destra con il socio e amico, oggi detenuto, Fabrizio Fabietti, l’aggravante del 416 bis, il metodo mafioso. Accusa già formulata inizialmen­te, non accolta dal gip al momento di ordinare i 51 arresti del 28 novembre, ma sostenuta ora da ulteriori elementi emersi. Fra tutti, il ruolo di mediatore tra gli Spada e i rivali napoletani per il controllo della piazza di Ostia, che sempre più mettono Piscitelli al centro degli equilibri malavitosi della Capitale.

Quello che risalta dagli accertamen­ti dei finanzieri del Gico e del comando provincial­e è infatti la molteplici­tà di rapporti intessuti dalla banda Un aspetto inedito, sottolinea­to a suo tempo anche dal procurator­e Michele Prestipino, era la capacità di agire su più livelli nel mercato degli stupefacen­ti. Le indagini sono piene non solo di episodi di acquisto e spaccio in nove quartieri della Capitale (Ostia, Bufalotta, San Basilio, Colli Aniene, Tuscolano, Romanina, Borghesian­a, Tor Bella Monaca fino a Frascati e un progetto di espandersi a Fondi) ma anche di una sorta di mediazione e brokeraggi­o che metteva in contatto trafficant­i e grossisti con rivenditor­i al dettaglio. Da un lato Piscitelli

In alto da sinistra: Fabrizio Piscitelli, il parco degli Acquedotti il 7 agosto 2019, giorno dell’omicidio, e Fabrizio Fabietti. Qui sotto il funerale al Divino Amore

e Fabietti movimentav­ano con la ‘ndrangheta e i narcos sudamerica­ni 250 chili di cocaina e 4.250 di hashish grazie alla credibilit­à costruita negli anni, dall’altra — pur senza vendere in prima persona — supervisio­navano al funzioname­nto delle piazze di spaccio affidate a terzi. Un’organizzaz­ione fluida che permetteva pagamenti cash immediati grazie alla velocità di vendita e riacquisto degli stupefacen­ti, tanto da poter disporre in un paio d’ore, alla bisogna, anche di 300 mila euro sull’unghia.

«Un gruppo senza eguali in altre città italiane», lo definiscon­o gli inquirenti, che metteva assieme pezzi di criminalit­à da stadio, di strada e di ispirazion­e politica. Dorian Petoku era in quota alla banda di albanesi di Ponte Milvio, Sestina Fabietti (sorella del capo) teneva la contabilit­à, altri facevano da corrieri o si occupavano della logistica. Figura centrale era quella di Alessandro Telich «Tavoletta», che aveva creato una rete di telefoni criptati in grado di respingere ogni infiltrazi­one investigat­iva e di «bonificare» qualunque ambiente dalle microspie grazie a una sofisticat­issima dotazione tecnologic­a. E poi la batteria di picchiator­i composta da Kevin Di

Napoli, pugile profession­ista, Andrea Ben Maatoug «Il Pischello» e i due fedelissim­i di Piscitelli negli Irriducibi­li della Lazio, Ettore Abramo «Pluto» (celebrato in curva Nord assieme a Diabolik) e Aniello Marotta. Piscitelli in prima persona li mandava a compiere spedizioni punitive verso debitori o concorrent­i che non stavano ai patti. Ad esempio il greco Anxelos Mirashi. I quattro picchiator­i si presentano da lui vestiti da carabinier­i per non farsi riconoscer­e: «Dobbiamo sfondarlo proprio, lo devi squarta’». «Le coltellate non gliele dò sulla femorale sennò lo ammazzo. A parte che poi zampilla...».

«Io voglio crea’ ‘na pace globale», diceva Fabietti tradendo l’ambizione di controllar­e l’intero mercato capitolino. Un patto tra gli altri clan avrebbe messo fine ai suoi sogni e alla vita di Diabolik.

Il gruppo

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