«I più piccoli penalizzati ma la crisi li farà crescere»
Il professor Nicolais: così il coronavirus influenzerà la loro vita
L’8 giugno, ultimo giorno di scuola nel Lazio, in tempi pre Covid sarebbe stata una data importante, sognata, rincorsa e per molte famiglie una porta aperta sulle vacanze estive. Quest’anno invece è stata una semplice formalità, perché la scuola come l’abbiamo conosciuta, con banchi, cattedra, emozioni e vita sociale, è finita da tempo.
«Da una parte ai bambini è mancata la ritualità del saluto dell’ultimo giorno di scuola e i più penalizzati sono quelli che finiscono i cicli di quinta elementare e terza media — spiega Giampaolo Nicolais — professore associato di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione a La Sapienza — ma dall’altra, questo “straordinario” anno scolastico è stato per i più piccoli, se aiutati da insegnanti e genitori, un’occasione unica per prendere consapevolezza dei grandi temi del futuro: ambiente, solidarietà, giustizia sociale».
Cosa dire ai bambini, forse la categoria più trascurata di questo lungo lockdown in attesa di sapere cosa accadrà a settembre?
«Io prenderei carta e penna e mi complimenterei con loro. Sono riusciti ad affrontare un’esperienza faticosa, unica, importante. Soprattutto i più piccoli hanno dovuto fare i conti con la frustrazione di non veder immediatamente soddisfatto il desiderio: “Voglio
vedere quell’amichetto”, ad esempio. Ma non era possibile. E per chi ormai è abituato al “tutto e subito”, è stato sicuramente uno sforzo notevole . Per quanto riguarda settembre, si deve dire la verità: “C’è ancora incertezza, non si sa se le classi saranno uguali allo scorso anno, forse si dovrà stare ancora a casa per un po’. Il pericolo è che i genitori avviino una sorta di “negazionismo” ».
È possibile trasformare ciò che è accaduto in un’opportunità per crescere ?
«Certo. Il Covid va interpretato anche come un sintomo dello squilibrio tra noi e il mondo in cui viviamo. Bisogna cambiare il nostro rapporto con la natura, prenderci cura del pianeta. In questa prospettiva bisogna rendere i bambini partecipi del ruolo che avranno nel nostro futuro e del lavoro che li attende. Insomma, le lezioni sono importanti, ma la vita è più “grande” della scuola».
Lei è in prima linea con i suoi allievi della Scuola di specializzazione in Psicologia clinica a supporto delle famiglie. Come affrontano i più piccoli la paura del virus?
«Purtroppo assistiamo a un aumento di sintomi fobici. Tutti si sono sforzati a parlare del “mostriciattolo” . Ma la verità è che il virus è invisibile e in alcuni casi i bambini non vogliono più toccare gli oggetti. Altre volte lo immaginano nell’aria e non vogliono uscire perché hanno paura di contagiarsi. La questione del nemico invisibile scatena più ansia. Paradossalmente, quando c’erano i bombardamenti, che si sentivano e si vedevano, la psiche soffriva meno».
Un consiglio ai genitori?
«Indossare mascherine, guanti e presidi vari fuori di casa perché il bambino osservandoli può spaventarsi: “Cosa sta succedendo là fuori...?» E poi ci sono dei libri in grado di spiegare in modo chiaro il coronavirus, i microrganismi e la battaglia per sconfiggerli: “Il mio eroe sei tu!” (6 -11 anni) e “Coronavirus” di Axel Scheffler (3-6 anni). Scaricabili gratis su www.giovanigenitori.it/lifestyle/spiegare-il-coronavirus-ai-bambini-libri/».
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