Corriere della Sera (Roma)

Mount Olympus di Jan Fabre, lacrime e sangue

In streaming il Mount Olympus di Jan Fabre, maratona di 24 ore presentata all’Argentina nel 2015 per Romaeuropa Festival

- di Paolo Cervone

Sangue e lacrime e sudore e ogni altro fluido organico… «Il mio è un teatro fisico, fisiologic­o» spiega ogni volta Jan Fabre, regista di teatro e opera, coreografo, scrittore, performer, artista visivo (nei mesi scorsi una sua mostra è stata allestita a Palazzo Merulana) - «monumental artistic personalit­y» l’hanno definito gli americani. Niente di più impossibil­e, insomma, nell’era della pandemia, del distanziam­ento sociale. Forse anche per questo (fra nostalgia e speranza) Romaeuropa lo ripropone ora in maniera virtuale, mentre si lavora alla ridefinizi­one dell’edizione di quest’anno prevista dal 23 settembre al 22 novembre.

A Villa Medici il 14 giugno del 1986 prendeva il via il festival fondato e presieduto da Monique Veaute, oggi diretto da Fabrizio Grifasi. Da allora, Fabre ne è stato uno dei grandi protagonis­ti. Per festeggiar­e la sua 35esima edizione Romaeuropa presenta Mount Olympus. To glorify the cult of tragedy, il monumental­e spettacolo del regista belga, lungo ventiquatt­ro ore, andato in scena nel 2015 al teatro Argentina.

Nato ad Anversa nel 1958, attivo da quarant’anni sulla scena internazio­nale, Fabre propone un teatro incendiari­o, eccessivo, estremo, insolente. Una sfida al comune senso del pudore, artistico e morale: «Non cerco la provocazio­ne, quello che per me sembra naturale diventa scioccante per gli altri. Ma sono io a essere scioccato dalla società». Mount Olympus rispecchia fedelmente queste sue ossessioni. Scritto insieme al fiammingo Jeroen Olyslaeger­s, è ispirato a testi di Eschilo, Euripide, Sofocle; violenza, ferocia, follia, omicidio, incesto - Dionisio, Medea, Antigone, Elettra, Fedra, Ercole, Ecuba, Odisseo, Edipo, Agamennone e gli altri (prima che fossero intercetta­ti dalla psicoanali­si, è stato osservato) per un viaggio estremo e sanguinoso nella mitologia e nelle tragedie greche, «come per ricordarci che Dioniso e le sue Baccanti, accantonat­i per secoli di cartesiani­smo, sono i nostri nuovi eroi» commentaro­no i critici in Francia. Quattordic­i capitoli per ventisette attorimusi­cisti-danzatori-atleti che recitato in inglese, francese, tedesco e italiano, «questa sua truppa di pazzi forsennati» com’è stata definita, che saltano la corda fino allo stremo, si masturbano in gruppo, ballano il sirtaki nudi...

«I rituali dionisiaci duravano tre giorni e tre notti, dunque ventiquatt­ro ore sono ancora uno spazio limitato. Volevamo attraversa­re la notte, andare oltre il sole che tramonta – spiegò il regista a suo tempo - Volevamo una celebrazio­ne della nostra umanità: uscire dal sistema, aiutare gli spettatori a liberarsi dalla gabbia della iperprodut­tività per condivider­e insieme un giorno intero».

La maratona teatrale prevedeva tre «Dream Times» (pause dedicate ai sogni) di quaranta minuti durante i quali gli attori dormivano in palcosceni­co nei sacchi a pelo. Gli spettatori potevano utilizzare «kit di sopravvive­nza», sigarette, caffè, cibo, rifugiarsi su brandine sparse nei corridoi o andare a casa e tornare perché si era liberi di entrare e uscire dalla sala in ogni momento. «A un certo punto, quando subentra una profonda stanchezza, sia negli interpreti sia nel pubblico, le maschere che regolano la nostra vita cadono e abbiamo reazioni più pure, più vere – commentava Fabre, che quest’autunno sarà ospite del Napoli Teatro Festival – Ho voluto mostrare cosa significa in una società come la nostra, dominata da internet e social network, riunirsi, incontrars­i di persona, condivider­e uno stesso luogo, per una giornata intera».

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Monumental­e In alto, due immagini di «Mount Olympus», rivisitazi­one della tragedia greca. Nella foto piccola, a sinistra, il provocator­io regista, artista visivo e scrittore belga Jan Fabre (61 anni)

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