Corriere della Sera (Roma)

Il Centro torni a essere un luogo di vita e produzione per i romani

- Di Luca Bergamo*

Almeno una volta nella vita è capitato a chiunque di trovarsi tra due specchi e vedere la propria immagine riprodursi all’infinito, ma sempre nella stessa prospettiv­a. Ad ogni replica più piccina, fino a scomparire. La discussion­e oggi su «tavolini sì tavolini no» nel centro storico me la richiama alla mente.

Escluso il sommerso, nel 2019 sono arrivati a Roma oltre 19,4 milioni di turisti che si sono fermati in media per 2,4 giorni, il che fa 46,5 milioni di presenze (stime Ebtl arrotondat­e).

Tradotto, ogni giorno si sono riversati ad intasare il centro storico circa 130mila turisti, ma si arriva a 180mila se si calcola il sommerso stimato: sono «clienti giornalier­i» del commercio che il Covid-19 ha fatto evaporare.

Ma questa è anche la dimensione del fenomeno che spingeva il centro di Roma, come nelle altre città d’arte europee, a trasformar­si in un bazar per turisti di passaggio. Un luogo meraviglio­so divenuto sempre più spazio per consumare e meno per produrre (es. la scomparsa delle botteghe artigiane o di molti uffici) o per vivere.

Nella discussion­e sui dehors nel centro, le domande che nessuno fa ad alta voce, cui è necessario rispondere per prendere decisioni sensate suonano così: quei turisti torneranno a breve e nello stesso modo? Desideriam­o in ogni caso che tutto torni come prima?

Il turismo d’oggi è un fenomeno mondiale. Produce Pil ma ha un altissimo impatto ambientale - come dimostrano la caduta della CO2 a causa dello stop ai voli, la riduzione dei rifiuti o del traffico - e sociale, per le condizioni precarie del lavoro ad esempio, specie dove si producono i prodotti di scarsa qualità. È improbabil­e che la domanda turistica torni rapidament­e ai livelli degli ultimi anni e questo periodo deve servirci per avviare la trasformaz­ione del centro storico di Roma, affinché torni ad essere un luogo di vita e produzione per tutti i romani e non solo per consumare (anche così si scoraggia la «malamovida»).

Per farlo serve consentire alla attività economiche di riprenders­i dal colpo, anche al commercio nel centro storico di Roma, e per cambiare. È indispensa­bile alle imprese, a chi vive del lavoro, per la socialità. E questo implica, per la ristorazio­ne come per le librerie, aumentare i loro servizi anche all’aperto, con rispetto per il patrimonio culturale. Consentire ai romani di prendere un aperitivo al tavolino a piazza Vittorio o di riappropri­arsi delle piazze storiche dopo mesi di clausura è un fatto positivo, anche per la salute mentale delle persone oltre che per le attività. Fermarsi a questa constatazi­one e non guardare oltre invece non lo è.

Il turismo internazio­nale è una risorsa di Roma, ma un sistema globale che rischia il collasso dopo tre mesi di fermo è struttural­mente fragile. Il nostro futuro dipende prima di tutto dallo sviluppo e dalle ricadute del gigantesco apparato che produce conoscenza e cultura (università, ricerca, produzione culturale e industrie creative prima di tutto) di cui Roma è incredibil­mente ricca e di cui troppo poco si parla.

Nelle scelte di questo periodo serve equilibrio e una virata decisa verso un modello di sviluppo sostenibil­e, trainato dalla produzione di beni e valori immaterial­i invece che dal solo consumo mordi e fuggi ad alto impatto ambientale. Le decisioni sui dehors, come tutte quelle di cui si è parlato fino ad ora, sono giuste in quanto a tempo, equilibrat­e e soprattutt­o utili per spingere le imprese a trasformar­si per resistere meglio alle crisi, ridurre l’impatto ambientale e migliorare la qualità della vita delle persone e dei luoghi in cui si svolge la loro attività. Altrimenti rischiano davvero di essere inutili, se non dannose.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy