Il Celio del mito, dove un servo diventò il sesto Re
I Santi Quattro Coronati, basilica, cripta e convento delle monache Agostiniane
Ci fermiamo ancora al Celio, per l’emozione bimillenaria che si respira in questa Roma capace di reinventarsi e cambiare vita. Celio è uno dei sette colli storici della città, con Aventino e Campidoglio abbraccia il Palatino, mentre Esquilino, Quirinale e Viminale completano il disegno dell’Urbe antica. Deve il nome a Celio Vibenna, un condottiero etrusco accorso in aiuto a Romolo contro Tito Tazio.
Secondo Tito Livio, fu proprio al Celio che i romani trasferirono gli abitanti di Alba Longa dopo averla distrutta, durante il regno di Tullo Ostillio, terzo re di Roma. E sarebbe stato il quarto, Anco Marzio, a inserire il Celio nel perimetro cittadino, ampliando l’area del Palatino. In origine il colle veniva chiamato Querquetulanus Mons per la ricchezza di querce. Qui Celio Vibenna venne catturato e imprigionato dal fratello Aulo. Secondo il racconto epico che ne fece l’imperatore Claudio al Senato romano nel 48 d.C. Celio venne salvato e liberato dal suo più fedele servitore, Macstarna. Storia raccontata da uno dei più straordinari affreschi etruschi ritrovati nella Tomba François di Vulci. Conquistata Roma, dopo la morte di Celio, Macstarna regoló i conti con Aulo Vibenna, uccidendolo e rimanendo padrone della situazione. Se vi state chiedendo come mai il nome Macstarna non è così noto, è solo perché noi lo conosciamo con il nome che assunse per diventare il sesto re di Roma: Servio Tullio.
L’intera zona, attraversata dagli acquedotti fin dal 300 a.C. diventò al tempo di Augusto la seconda regio della città, salvo subire gravi danni dagli incendi al tempo di Nerone che ne approfittò per privatizzare grandi aree. Anche per questo i Flavi poterono costruire il Colosseo inaugurato da Tito nell’80.
Luogo di ricchissime residenze patrizie, in una di queste nel punto più alto, lungo l’antica via Tuscolana, fin dal 499 i cristiani vollero una Chiesa intitolata ai Santi Quattro Coronati. Edificio di straordinaria complessità che somiglia più a una fortezza che non a un luogo di culto. I santi secondo la tradizione erano quattro marmorari (Castorio, Sinfroniano. Claudio e Nicostrato) messi a morte da Diocleziano perché si erano rifiutati di scolpire dei pagani. Il complesso comprende, oltre alla basilica, la cripta, un antico palazzo cardinalizio — che per breve tempo è stato anche sede pontificia quando Martino V nel 1420 rientrando a Roma concluse la lunga parentesi avignonese del papato — e un convento. Ancora oggi il complesso dei santi quattro presenta spazi di assoluta bellezza, come i due cortili e il chiostro cosmatesco affidato nel XIII secolo ai marmorari romani in onore dei martiri scalpellini.
Dal XVI secolo l’intero complesso è affidato alle monache di clausura Agostiniane e adibito a orfanotrofio, con dormitori per le orfane. È ancora oggi un convento delle Agostiniane e le loro messe cantate sono così emozionanti da aver commosso anche molti non credenti.