Corriere della Sera (Roma)

Le memorie d’arte di Mara Coccia e Daniela Ferraria

Alla Gnam due mostre parallele con gli archivi delle galleriste Mara Coccia e Daniela Ferraria ruotano intorno all’Arco d’Alibert Sguardi

- di Paolo Conti

«Roma in quegli anni era una città molto bella e il mondo dell’arte viveva un periodo fantastico con una grande circolazio­ne di idee e di persone, allora c’erano molti artisti internazio­nali e questo creava un flusso continuo di confronto e di scambio. Era un momento straordina­rio, tutto avveniva intorno a piazza del Popolo, eravamo giovani e pieni di curiosità».

La semplicità di una prosa asciutta, antiretori­ca mette sempre a fuoco un pezzo di Storia più di tanti saggi pretenzios­i. È il ricordo della gallerista Daniela Ferraria, protagonis­ta di una delle due mostre parallele proposte dalla Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contempora­nea, diretta da Cristiana Collu. L’altra mostra riguarda Mara Coccia, altra gallerista-protagonis­ta (scomparsa nel 2014) di quel «momento straordina­rio» così ben rammentato da Daniela Ferraria: ovvero l’arte contempora­nea a Roma soprattutt­o nei fatidici anni 60-70-80, fino ai primissimi 2000. Al centro delle due mostre, che hanno come perno gli archivi delle due galleriste affidati alla Galleria Nazionale, il mitico (aggettivo non eccessivo) Studio d’arte Arco d’Alibert, aperto da Mara Coccia nel 1963, dapprima chiuso nel 1970 poi riaperto e condotto insieme dalle due galleriste tra il 1975 e il 1977, quindi rimasto in attività (con alterne vicende e sedi) fino al 2006 nelle mani della sola Ferraria, e insieme si ricostruis­ce anche la storia della successiva galleria personale di Mara Coccia aperta dopo il suo rientro a Roma (1982-2012).

Due le curatrici: Francesca Gallo per la mostra dedicata alle opere e agli archivi di Mara Coccia, Ilaria Bernardi per le opere e gli archivi di Daniela Ferraria. Scrive in incipit del catalogo Cristiana Collu: «Per la Galleria Nazionale è sempre l’età della febbre quando si tratta di collezioni e archivi, febbre che tende a salire quando le protagonis­te sono artiste o galleriste come in questo caso. Nel raccontare la loro avventura abbiamo messo in luce il loro carattere, le loro differenze, i loro insanabili attriti, incolmabil­i divergenze».

di Franco Angeli. A sinistra, una delle opere esposte: Carla Accardi, Senza titolo (1964)

Sopra, l’allestimen­to della mostra con, in fondo alla parete, Natale di Roma

Chiunque abbia attraversa­to quegli anni, non da cronista né da critico ma sa semplice cronista romano, ricorda bene ciò che scrive schiettame­nte Collu. Ma è magnifico ripensare a quella «città molto bella» del tempo, come scrive Ferraria, non solo nelle opere esposte ma anche nelle tante foto di gruppo. Tra gli artisti c’è l’imbarazzo della scelta per entrambe le galleriste: Franco Angeli (grazie a Mara Coccia la Galleria Nazionale, ai tempi guidata con polso di ferro da Palma Bucarelli, acquista il suo Natale di Roma del 1964), Fabio Mauri, Jannis Kounellis, Osvaldo Licini, Gastone Novelli, Alexander Calder (che regala un celebre ciondolo a Mara Coccia), Pino Pascali (in allestimen­to i suoi disegni per la pubblicità che Ferraria propose prima all’Arco d’Alibert nel 1991 e poi alla Biennale di Venezia nel 1993), Carla Accardi, Mimmo Rotella, Mario Schifano. Ma sono solo alcuni nomi, e volutament­e non distinti tra le opere allestite nelle due mostre. È sempre quella «città molto bella», intelligen­te, aperta al mondo come emerge anche nelle foto firmate da Elisabetta Catalano, Claudio Abate, Agnese De Donato, Simon D’Exéa, Giuseppe Schiavinot­to. Una storia lunga più di quarant’anni nel complesso, decisiva per la sprovincia­lizzazione di Roma. La nostalgia è un pessimo parametro per qualsiasi giudizio. Ma, rispetto a ciò che viviamo oggi in questa città, è un sentimento che preme inevitabil­e, con forte naturalezz­a.

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