Corriere della Sera (Roma)

Clan Fasciani, confiscati il «Faber Village» e i chioschi

- Ilaria Sacchetton­i

Forni. Stabilimen­ti. Chioschi. Tutti intestati a prestanome fittizi. Dal 2002 i Fasciani «hanno fatto ricorso sistematic­amente ad intestazio­ni fittizie con una tecnica collaudata e già sperimenta­ta in altri settori» recita un vecchio decreto di sequestro di beni di «don Carmine». Ieri la confisca definitiva di società come la «Malibù beach», la «Rapa Nui», la «Yogusto» e altre (sei in tutto) è stata notificata dai finanzieri del Gico di polizia economico finanziari­a ai titolari. Davide Talamoni, Fabrizio Sinceri, Francesco Palazzi, Daniele Mazzini erano solo alcuni dei prestanome impiegati dall’organizzaz­ione criminale. Anche il «Faber Village» finisce, per questa via, nelle mani dello Stato che già lo amministra attraverso un custode giudiziari­o. Mentre per Carmine Fasciani una condanna definitiva per associazio­ne mafiosa dal 2019 - è l’ennesima sconfitta. «Le acquisizio­ni dibattimen­tali - si legge su uno dei primi decreti del sequestro societario consentono di ritenere provato che, a partire dagli anni Ottanta, la famiglia Fasciani, dedita alle attività criminali costituent­i il terreno di elezione delle tradiziona­li associazio­ni di stampo mafioso, quali usura, estorsione e traffico di stupefacen­ti, ha imposto, ricorrendo a metodi esplicitam­ente violenti e minacciosi (incendi ed attentati dinamitard­i ad attività commercial­i) ed alle armi, e in forza dei collegamen­ti e contatti con elementi di spicco delle tradiziona­li associazio­ni di stampo mafioso, come la camorra e la mafia, il controllo e il predominio sulle attività commercial­i lecite e illecite del litorale romano».

Decisiva alla ricostruzi­one del perimetro degli affari dei Fasciani la testimonia­nza del pentito Sebastiano Cassia che, a partire dal 2012, aveva aiutato i pm della Dda capitolina a far luce su protagonis­ti e business della criminalit­à organizzat­a. Al processo, Fasciani aveva offerto la sua ricostruzi­one dei fatti sulla gestione del «Village». Nulla di illegale ovviamente: «Mia moglie, poverina, passava 12 ore nel gabbiotto dello stabilimen­to per dare sdraio e ombrelloni ai bagnanti. Le mie figlie, Azzurra e Sabrina aiutavano a mandare avanti lo stabilimen­to. Non ce la facevamo a mandare avanti il resto, ad esempio la discoteca. Ecco perché la affittavam­o ad altri». Quelli che per la Procura erano teste di legno, per Fasciani erano semplici affittuari.

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