Lozzi: proposta per il Comune, con o senza M5S
Monica Lozzi, presidente del VII Municipio, è al lavoro con la sua squadra per mettere a punto il programma in vista delle prossime Comunali: «Abbiamo centrato il 90 per cento degli obiettivi e sviluppato una visione di città che si può ampliare». Nella rivalità con la sindaca, dentro o fuori dal M5S, resta l’oscatolo del vincolo di mandato.
«La base, il vuoto, il vertice». Monica Lozzi, presidente grillina del VII Municipio, descrive così la mutazione genetica che ha spostato il baricentro del M5S dal dibattito sui temi alle «prese di posizione gli uni contro gli altri per tutelare non si capisce bene chi o cosa, forse i posti che si sono conquistati...».
Parole che sembrano accreditare la sua intenzione di correre per il Campidoglio, se necessario anche in solitaria.
«Con la mia squadra (tra i fedelissimi gli assessori ai Lavori pubblici, Salvatore Vivace, e al Commercio, Piero Accoto) abbiamo iniziato a buttare giù il programma. Da un anno, come minisindaci, chiediamo un incontro sia a Luigi Di Maio sia a Virginia Raggi per esprimere un’idea di città e valutare le possibili candidature, ma nessuno ci ha convocati».
Il vincolo del secondo mandato rappresenta un ostacolo sia per lei sia per la sindaca.
«Visto che finora un confronto non è stato possibile, stiamo mettendo nero su bianco la nostra proposta, che può viaggiare nell’ambito del Movimento o fuori. Il nostro Municipio ha portato a casa quasi il 90 per cento del programma, impostando una visione di città che può essere ampliata: un’esperienza che non deve essere buttata».
Tra rivalità interne e defezioni, il Movimento è in calo di consensi e sembra aver perso il feeling con la base: cosa non ha funzionato?
«Si è persa di vista la questione del cambiamento culturale che avrebbe portato al superamento del modello tradizionale di partito, basato sul meccanismo della delega, perché sarebbero stati gli elettori a controllarne l’operato. Al contrario, gli attivisti sono diventati fan e la gestione sempre più verticistica, mentre il confronto sui temi è finito in secondo piano».
In quali ambiti ritiene che abbia pesato di più la mancanza di visione?
«Come Movimento non abbiamo preso una posizione chiara sull’immigrazione rispetto ai “porti aperti” della sinistra o ai “porti chiusi” del centrodestra. Potevamo essere il punto di equilibrio tra i due, ma devi dichiararlo, altrimenti perché la gente dovrebbe votarti?».
Parla da candidata in pectore, con o senza la benedizione dei vertici.
«Più del nominativo mi interessa capire se i Cinque stelle hanno imparato qualcosa nella gestione di questi cinque anni, se hanno capito quali sono le priorità da portare a casa».
E che risposta si è data? «Che senza la riforma di
Roma Capitale e il decentramento amministrativo si rimarrà sempre incastrati: un cane che si morde la coda».
Da minisindaca si è trovata a fare i conti con il moloch della burocrazia.
«Sì, prenda il verde publico. Il Comune ci ha messo quattro anni per il mega appalto da 40 milioni, quando sarebbe stato più efficace affidare gli interventi ai territori, dove sono visibili. Il mio Municipio non è certo la Svizzera, ma sono riuscita a farmi assegnare tre ditte e a gestire alcune aree. La priorità sono stati i 147 plessi scolastici».
Il suo Municipio è tra i più popolosi di Roma e aggrega realtà molto diverse, dalle aree a ridosso del Centro a quelle di frontiera. Le periferie sono state un mantra della giunta Raggi, ritiene che abbia mantenuto le promesse?
«Lo slogan “Roma riparte dalle periferie” è rimasto tale. Inapplicato».
Qual è il suo modello di periferia?
«Un esempio virtuoso è la pedonalizzazione di un tratto di via Flavio Stilicone, trasformata da parcheggio a cielo aperto in salotto urbano. Tutto finanziato con fondi Pon (430mila euro) dell’Europa per la mobilità sostenibile».