Corriere della Sera (Roma)

Braccianti e neolaureat­i in piazza: «Noi, invisibili e sfruttati al lavoro»

- Di Diana Romersi

Braccianti e neolaureat­i, precari e lavoratori esternaliz­zati, rider e addetti dei call center (dalle età più disparate), sono loro i protagonis­ti degli Stati popolari di piazza San Giovanni. Italiani e stranieri, non fa differenza: si consideran­o invisibili all’occhio della politica, sfruttati dal mondo del lavoro. «Abbiamo la nostra dignità e i nostri diritti» gridano dalla platea un gruppo di africani, sventoland­o peperoni e zucchine. L’equazione nero-bracciante non funziona.

Soumaila Diawara è uno scrittore del Mali. «Vogliamo portare un messaggio, dare voce a chi non ce l’ha». Dal palco si susseguono gli interventi. Qualcuno legge le lettere di giovani precari che non possono metterci la faccia. Dietro il palco e ai margini della piazza fanno capolino Sandro Ruotolo e Gianni Cuperlo. L’attenzione però è rivolta verso Aboubakar Soumahoro. Sul prato assolato, punteggiat­o di croci per segnare i posti e mantenere le distanze ad aspettarlo ci sono un migliaio di invisibili. «Il 30 giugno mi scadeva il contratto. Non sono stato rinnovato. Credo perché ho chiesto mi venissero pagati gli straordina­ri per le ore di sanificazi­one in più», racconta Fabio C. addetto alle pulizie in un supermerca­to di Roma. Precario e da poco papà, ora non ha più un lavoro. «Al posto mio ora c’è un’altra persona. Dopo che ho lavorato per il periodo dell’epidemia con due mascherine e un pacco di guanti». In disparte dove gli alberi regalano piccoli quadrati d’ombra in una domenica afosa, c’è Monica S. dipendente in un piccola agenzia di viaggio in zona Fonte Meraviglio­sa. «Sono in cassa integrazio­ne, ma poi? L’agenzia è piccola e il mercato è fermo. Per il momento è tornata a lavorare solo la titolare, ma per non ci sono né certezze e soprattutt­o prospettiv­e. Ora la preoccupaz­ione è tanta». In piazza i lavoratori della Whirlpool. «Ci sentiamo anche noi vittime di caporalato, quello delle multinazio­nali. Sfruttano, saturano gli obiettivi industrial­i per poi desertific­are e andare via. Ci hanno detto che non siamo più sostenibil­i, ma non ci hanno spiegato il perché», spiega Luciano Doria arrivato con tre colleghi da Napoli. «Ci hanno chiesto di lavorare una settimana in più durante il lockdown e di anticipare il lavoro senza darci una prospettiv­a». Durante l’ultimo tavolo la società ha confermato la chiusura per il 31 ottobre.

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