CURRICULUM PER IL NUOVO SINDACO
Un lettore avanza una proposta molto saggia: che ai candidati sindaco (o sindaca) si chieda il curriculum. Chi aspira a governare una città «dovrebbe dimostrare di aver avuto un’esperienza amministrativa pubblica almeno quinquennale, la gestione positiva di almeno un gran progetto pubblico e un programma di opere pubbliche con date e spese».
È una proposta che va al di là del mero buonsenso. Pensiamo a come viene scelto, il più delle volte, l’amministratore delegato di un’azienda. Si affida la ricerca a una società specializzata, che propone una rosa di nomi scelti in base ai curricula, alle esperienze fatte, ai risultati ottenuti. Tra le capacità deve emergere un misto di attitudini tecniche, relazionali e di leadership. I criteri non cambiano molto se, anziché per mezzo di una società di selezione, si procede per chiamata diretta.
A volte si sbaglia, certo. O si sceglie sulla scorta di considerazioni che mettono in primo piano gli interessi di alcuni azionisti a scapito dell’interesse dell’impresa. Ma il metodo è giusto: s’ingaggia il dirigente in base alle sue (dimostrate) capacità. Ora, dove sta scritto che lo stesso criterio non si possa applicare anche alla politica? Forse che una città - una città come Roma - è meno importante di un’impresa, di una municipalizzata, di un grande studio legale?
Adottare questo criterio è un’operazione tutt’altro che banale: richiede un salto di qualità dell’offerta politica.
Ma implica anche un salto di maturità della domanda, cioè della capacità dei cittadini d’influenzare le scelte dei loro rappresentanti, a cominciare dal profilo dei candidati.
È immaginabile l’obiezione dei più pessimisti: la politica è un mondo chiuso, impermeabile alle sollecitazioni, sordo all’innovazione, sensibile solo ai propri interessi. In realtà qualche cosa si muove. La gestione del Covid è stata un banco di prova delle capacità (e delle incapacità) gestionali. Se ad esempio prendiamo l’ultima classifica del Sole 24 Ore sul gradimento degli amministratori locali, notiamo che i sindaci e i governatori in testa alla graduatoria quelle capacità e quelle esperienze di governo hanno dimostrato di averle. Non sembrano esserci casi di improvvisatori di successo. Questi mesi hanno insegnato che, quando i giochi sono duri, servono amministratori preparati, capaci anche di decisioni impopolari. Nel caso di Roma, l’inadeguatezza amministrativa era già evidente ben prima della pandemia. Ma anche qui le cose possono cambiare.