Bengalesi in fila per il test I primi 270 sono negativi: «Controlli alla partenza»
Largo Preneste, in coda per l’esame Covid tantissime persone, anche bambini: molta paura pure noi, nel nostro Paese le protezioni sanitarie non vengono usate
Ciaralli, direttore sanitario del distretto: risposta ordinata della comunità
Come la Livella di Antonio De Curtis, ma per fortuna meno drammatica, l’allerta Covid azzera, quasi del tutto, differenze di etnia, ceto, religione. E così, sotto un sole cocente, la comunità bengalese più numerosa d’Italia si mette in coda disciplinata al centro della «enclave» tra Casilina e Prenestina per fugare i timori sulla massiccia circolazione del virus al suo interno, «importato» da connazionali di ritorno in Italia dopo il lockdown. La stessa preoccupazione di tutti i romani in queste ore, anche se i primi dati sono confortanti: nessun positivo sui primi 270 tamponi processati.
Largo Preneste, ieri mattina. Dalle prime luci del giorno in tantissimi sono in fila nel cortile del poliambulatorio della Asl Rm2 all’interno della Casa della Salute santa Caterina della Rosa. Ingresso da via Giacomo De’ Conti, uscita da via Niccolò Forteguerri. Sorta come una postazione «drive in» per i test in auto, ora ricorda non senza qualche brivido gli avamposti sanitari nelle zone rosse di
Nerola e Contigliano. Ieri, l’Asl ha individuato una lista di voli «sospetti» da Dacca a Roma, invitando chi era a bordo a sottoporsi ai controlli. Nassir Uddin, 45 anni, da 20 nella Capitale, che si è appena sottoposto al tampone faringeo assieme a suo fratello Nessar, dieci anni in meno sia sulla carta di identità che di residenza italiana, non fa sconti ai propri connazionali: «Sono andato in Bangladesh a gennaio e sono rientrato in Italia a febbraio. Per tutti questi mesi non sono mai uscito di casa e lo stesso ho detto di fare a mia moglie e i miei figli che vivono lì. A Dacca girano tutti senza mascherine: i controlli andrebbero fatti in partenza, non all’arrivo». I problemi dei fratelli Uddin sono oggi quelli di migliaia di connazionali
La risposta
e romani. Fanno i cuochi in un ristorante in via Principe Amedeo, di cui mostrano orgogliosi il biglietto, ma entrambi in cassa integrazione: «Il ristorante incassava 6000 mila euro a sera. Oggi, senza turisti, 150. I soldi della cassa integrazione non sono ancora arrivati, ogni mese mandavo a casa 700 euro...».
Il team messo in campo da l dottor Fabrizio Ciaralli, direttore sanitario del distretto 5 della Asl Rm 2, è composto da 10 persone, uomini e donne, alcuni giovanissimi. Non hanno un attimo di pausa con la fila che si allunga sempre più ma non perdono il sorriso con adulti (stragrande maggioranza maschi) e bambini. Quando le indicazioni non vengono comprese per problemi di lingua, interviene la gestualità o qualche interprete tra i connazionali. Padre madre, sorella di lei e tre figli piccoli in vesti coloratissime si sottopongono al test. «Fai AAAAAA forte», mima l’infermiera per poter agire in una bocca sufficientemente aper