Benedetti, una vita sul palco
L’attrice si racconta, fra ricordi e progetti: il maestro Orazio Costa, l’amore per la parola, i ricordi di Volonté, Alberto Lupo, Lilla Brignone, gli amici Virginio Gazzolo e Gigi Proietti Francesca: «Splendori e miserie di una cortigiana: del teatro», c
«Splendori e miserie di una cortigiana del teatro: sì, in questo modo mi definirei». Francesca Benedetti ha attraversato, e sta ancora attraversando, una lunga storia in palcoscenico. Nata a Urbino, è poi fuggita a Roma per iscriversi all’Accademia nazionale d’arte drammatica, iniziando poi a recitare con il suo maestro, il regista Orazio Costa Giovangigli.
«Sì, sono proprio fuggita a Roma - conferma l’attrice perché volevo respirare un’aria diversa, in una grande città: ero infelice, volevo espandermi. Ma non mi iscrissi subito all’Accademia, bensì a Medicina».
Pensava di fare il medico? «Volevo studiare l’uomo nella sua interezza biologica, non sentimentale-estetica, ma proprio fisica. Ma il rapporto con lo studio scientifico non era adatto a me e così, dopo tre anni di Medicina, ho cambiato direzione: ho fatto il provino in Accademia, l’ho superato e mi sono diplomata».
Sua madre Nice si era laureata con Luigi Pirandello: da qui, la sua attenzione al teatro?
«Mia madre aveva studiato al Magistero con il grande drammaturgo e da studentessa aveva anche assistito alla celebre prima al Teatro Valle dei “Sei personaggi in cerca d’autore”».
Quella serata del 1921 in cui il pubblico gridò «manicomio! manicomio!»?
«Proprio quella: lei era in platea e vide il suo maestro fuggire dietro le quinte, mentre alcuni spettatori gli tiravano le sedie sul palcoscenico. Ma mia madre, ovviamente, era tra gli ammiratori, coloro che, giustamente, applaudivano».
Quindi condivideva la sua passione per il teatro?
«Assolutamente no. Essendosi poi sposata con mio padre, era diventata una signora borghese, una donna chic, colta, introversa, che si dedicava esclusivamente al marito e alle figlie. Vedeva anche me come una futura moglie e madre, quindi non poteva condividere il mio desiderio di fare l’attrice, non riusciva a immaginarmi immersa nella teppa dei teatranti, un modello troppo dissimile da quello che prevedeva per sua figlia. Però io ero prepotente e alla fine le si rassegnò. Io sono una demolitrice, sempre in dissenso con tutto».
Quale l’insegnamento più importante da parte di Costa?
«Trattare la parola come un oggetto sperimentale da laboratorio, anatomizzarla, cercando di semplificarla al massimo per restituirla allo spettatore. In Accademia ho poi avuto colleghi straordinari: per esempio Gian Maria Volonté, un ragazzo eccezionale, alla ricerca di sé stesso, un compagno forte e scomodo, un selvaggio».
E Alberto Lupo, con cui debuttò nella tragedia «Ifigenia in Tauride»?
«Un po’ grossier, un bellone, buono per la tv. Mentre ho un ricordo algido di Lilla Brignone: come persona non era simpatica, ma come attrice era limpida, senza birignao, per me una guida».
Con Gigi Proietti e Virginio Gazzolo partecipò alla nascita del Teatro Centouno.
«Ero fidanzata con Virginio e grande amica di Gigi, che mi ha contagiato per la sua capacità
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Il rimpianto? Non aver mai interpretato un’opera di Cechov, mi manca molto non aver mai incarnato Ljuba nel “Giardino dei ciliegi”
di rapporto con il pubblico: è un lampo, un fulmine... questo ho imparato da lui».
Una lunga carriera, la sua: qualche occasione mancata?
«Non aver mai interpretato un’opera di Cechov, sì mi manca molto non aver mai incarnato Ljuba nel Giardino dei ciliegi, un personaggio che fece mirabilmente Valentina Cortese. E di sogni irrealizzati ne ho tanti, ma il teatro è il mio ambiente naturale e, pur avendo avuto varie proposte in televisione e al cinema, che in certi casi ho anche accettato, ho poi sempre preferito la difficile strada del palcoscenico. Tuttavia, qualche volta me ne sono pentita».
Perché?
«Il momento in cui si entra in scena è una nascita, un piccolo parto, mi provoca tanta ansia. Aveva ragione Eduardo De Filippo quando diceva che il teatro è un grande gelo. È un lavoro cruento, duro».
Però adesso sta per tornare in palcoscenico: in autunno, al Teatro Basilica, sarà protagonista del nuovo spettacolo diretto da Antonio Calenda, «Parade».
«È una cavalcata nelle avanguardie storiche, con la musica di Erik Satie. Un bel progetto, ma... devo ammettere che ogni volta che si alza il sipario, mi dico: ma chi me lo ha fatto fare!».