Cosimo Damiano, l’outsider della techno Dai rave in Europa ai progetti romani: «Nella creazione mi piace sperimentare»
Un outsider che non è mai riuscito a identificarsi in unico genere o a sacrificare la libertà di espressione per il consenso facile, correndo il rischio di non assecondare le aspettative del pubblico. La pratica dello sconfinamento gli è congeniale fin da piccolo: ascoltatore di vinili rock, progressive, psichedelici assieme al padre, appassionato di chitarra. Da adolescente l’incontro con la musica elettronica nella galassia dei rave illegali: «La tekno con la “k” mi incuriosiva perché era molto esoterica, per la ritmica veloce e le sonorità strane — spiega Cosimo Damiano, 31 anni, musicista e producer — . Da quel momento ho iniziato a suonare in Europa: Olanda, Belgio, Francia. Ero curioso di scoprire altre realtà, non mi sono mai fossilizzato». Intorno ai 20 anni, assieme a un gruppo di amici con i quali condivide lo spirito anticonvenzionale e la refrattarietà a modelli preconfezionati, approfondisce la ricerca fuori dai circuiti più sdoganati: «Non ci siamo mai allineati a quello che facevano gli altri, con la nostra etichetta Deltaplanet abbiamo sempre sperimentato, consapevoli che a qualcuno saremmo potuti non piacere...». Dai party negli spazi abbandonati ai live nei centri sociali (Area ingovernabile, oggi Ex Cartiera, Villaggio Globale, Strike), fino all’esperienza come dj resident all’Ex Dogana, a San Lorenzo. Consciousness, il nuovo singolo che anticipa il suo primo album in uscita a ottobre, racchiude le influenze che lo hanno accompagnato lungo il percorso: «Ora lavoro in uno studio di registrazione dove mi sono approcciato anche alla musica classica e contemporanea e ho trovato nuovi stimoli. Non amo ripetermi a livello di struttura sonora e temporale, quando faccio musica mi piace sognare». Nel frattempo, ha collaborato con Alessandro Adriani al progetto Neurodreamers e ne ha altri in cantiere. Della pandemia non si dice troppo sorpreso: «Era nell’aria, credo che l’immaginario collettivo sia un segno dei tempi. I miei genitori avevano prospettive rosee, al contrario la mia generazione, io sono dell’89, non ha mai percepito un futuro, in sottofondo c’è sempre stata un’idea di decadenza. Era normale che uscisse fuori il marcio, cosa ci aspettavamo?». Catastrofista, ma convinto del potere rigenerante dell’arte: «Condivido l’idea che sia la bellezza a salvare il mondo. Quando sono ispirato ho uno sguardo diverso sulle cose, che invece mi appaiono più spente se sono molto stressato». Stasera, armato di sintetizzatore modulare, porterà le sue originali commistioni sonore da Klang, al Pigneto (dalle 21, via Stefano Colonna 9) nell’ambito della rassegna Hybriden.