Corriere della Sera (Roma)

Ciconte racconta la storia criminale della città eterna

Il libro di Enzo Ciconte racconta la storia della malavita nella Capitale, dal 1870 a oggi. «Esiste una classe dirigente, che ha una ritrosia a riconoscer­e l’esistenza della mafia nella città eterna»

- di Natalia Distefano

Enzo Ciconte non è uno storico da contemplaz­ione, la sua ricerca puntuale e appassiona­ta nel passato non è di quelle che si accontenta­no di illuminarn­e date, nomi, fatti e misfatti. Ma è una pratica combattent­e, che schiva le mezze parole e alza il velo su una questione urticante: le mafie, con la loro corte di connivenze, che Ciconte – il primo a pubblicare nel 1992 un ritratto lucido della ’Ndrangheta dall’Unità a oggi – rintraccia senza fare sconti alla politica, alla magistratu­ra e alla società civile. «Perché il primo passo per combatterl­e è ammetterne l’esistenza».

Il peccato di Roma, come scrive nel suo nuovo libro L’assedio (Carocci Editore), sembra essere proprio quello di credere – o voler credere – che la sua criminalit­à sia fatta solo di balordi, piccoli clan locali, fattacci isolati. «Esiste una classe dirigente cittadina, di cui fanno parte anche intellettu­ali, imprendito­ri, comdhal mercianti, giornalist­i, magistrati, politici d’ogni colore, uomini di Chiesa e borghesia, che ha una ritrosia a riconoscer­e l’esistenza della mafia romana, quasi che il solo parlarne significas­se sporcare l’immagine della città eterna. Lasciando Roma sotto l’assedio non di un solo potere criminale ma di un mondo malavitoso che ha tante facce quanti sono gli interessi politici ed economici che animano la città».

Ciconte parte dal 1870: «mentre a Porta Pia si consumava lo scontro, a Palazzo Sciarra si riunivano principi, banchieri, esponenti della finanza vaticana. Senza che ne avessero titolo questi signori programmar­ono le sorti della città». Prosegue di bulli e briganti innalzati a eroi, come Gasbarrone, detenuto a Civitavecc­hia negli anni in cui Stenvi risiedeva in qualità di console: «Era tanto famoso che lo scrittore se ne lamentò: “su cento stranieri che passano, cinquanta vogliono vedere il celebre brigante Gasperoni, e quattro o cinque il signor de Stendhal”».

E poi via via scandali, omicidi, borsa nera, borgate, traffici internazio­nali, droga, fino alla banda della Magliana, che riuniva «cravattari» e «pezzi grossi». «C’erano criminali comuni, violenti, mafia siciliana, ’ndrangheta, camorra, uomini dell’eversione nera, della massoneria, dei servizi segreti. Ma soprattutt­o uomini disposti a tutto. Con la banda cambia per sempre il volto del magma mafioso nella Capitale». Ciconte lo racconta con dovizia di particolar­i ma senza perdersi nei cavilli delle singole vicende. «L’obiettivo del libro – spiega – non è raccontare tutti malfatti capitolini ma realizzare quello che mancava: una sintesi della storia criminale della città, l’unica in Italia dove convivono forme di malavita tanto eterogenee».

Ciconte si spinge fino a oggi, con i Casamonica, gli Spada, i Fasciani, l’omicidio Diabolik (Fabrizio Piscitelli), Massimo Carminati e l’inchiesta Mafia Capitale. «Che però alla fine – si rammarica lo scrittore – la Corte di Cassazione non ha ritenuto di qualificar­e come mafia. Finché non chiameremo le cose col proprio nome sarà difficile affrontarl­e. Ho scritto questo libro con un linguaggio chiaro, perché nulla fosse equivocabi­le e chi legga, appassiona­ti o no di storia, potesse avere gli strumenti per prendere una posizione».

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In tv I protagonis­ti di «Romanzo criminale», la serie ispirata alla banda della Magliana. Da sinistra: Vinicio Marchioni, Francesco Montanari, Daniela Virgilio, Alessandro Roja, Marco Bocci
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Il bandito e lo scrittore Dall’alto: ritratto del brigante Antonio Gasbarrone e l’autore del libro Enzo Ciconte

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