Piazza di Spagna «Sì ai tavolini», Comune bocciato
Accolta la tesi de «La Barcaccia». Ribaltata la sentenza del Tar
Li hanno ribattezzati i «tavolini Covid» perché si tratta dell’occupazione di suolo pubblico concessa in questa fase di emergenza, quindi transitoria. E, per il momento, il Consiglio di Stato salva quelli in piazza di Spagna che invece il Tar aveva bocciato. La sospensiva consente al locale «La Barcaccia» di mantenere tavoli e sedie in piazza nell’attesa che la vicenda sia ridiscussa dal Tar, infliggendo al Comune il pagamento delle spese di lite (1.500 euro).
Querelle Al centro della causa l’interpretazione di una norma sull’occupazione di suolo pubblico
Il Consiglio di Stato salva, per il momento, i tavolini Covid di piazza di Spagna che invece il Tar aveva bocciato. Lo fa con una sospensiva che consente a La Barcaccia - ristorante e bar che si affaccia proprio di fronte alla fontana omonima - di mantenere tavoli e sedie in piazza nell’attesa che la vicenda sia di nuovo discussa dal Tribunale amministrativo, infliggendo al Comune anche il pagamento delle spese di lite (1.500 euro).
Li hanno ribattezzati tavolini Covid perché si tratta dell’occupazione di suolo pubblico concessa in via straordinaria in questa fase di emergenza, quindi transitoria. Prima della pandemia il locale non aveva arredi esterni, mentre adesso ha ottenuto circa 40 metri quadrati temporanei. Pur in questa provvisorietà esistono delle regole, a maggior ragione trattandosi di un luogo di pregio, su cui si è appunto instaurato il contenzioso col Comune. Tecnicismi che però, in questo caso, diventano sostanza: la discussione verte infatti sull’interpretazione del regolamento in materia di occupazione di suolo pubblico (Osp), che riporta i concetti di «adiacenza al fabbricato» e di «filo marciapiede». Per quanto riguarda quest’ultimo requisito, si intende che l’occupazione con tavoli e sedie è possibile solo sul marciapiede oppure al contrario oltre il ciglio, quindi su strada come sostengono il ristoratore e il suo legale? Tecnicismi, appunto, che però determinano in questo caso - è ciò che sostiene il ricorrente - la vita o la morte commerciale di un’attività specie in tempo di pandemia.
Nella prima pronuncia di fine gennaio il Tar aveva dato torto al locale e ragione al Comune, scrivendo nella sentenza che le norme «utilizzano congiuntamente i concetti di “adiacenza al fabbricato e di filo marciapiede” proprio per indicare il possibile, contrapposto, posizionamento di Osp che, in ogni caso, rimangono al di sopra del marciapiede: la norma indicata prevede, infatti, sia le Osp adiacenti al muro perimetrale dei fabbricati sia le Osp che interessano il lato esterno del marciapiedi, e cioè quella parte che si ultima col ciglio, o filo esterno, del marciapiedi senza interessare né invadere la sede stradale».
Andrea Ippoliti, il legale del ristoratore, ha sostenuto invece la tesi opposta: «Se davvero fosse questa l’interpretazione - obietta l’avvocato -, considerando i due metri che devono essere lasciati liberi per il passaggio dei pedoni, il mio assistito avrebbe avuto un solo metro quadro di occupazione, un tavolino, concessione del tutto insufficiente se il senso della norma è favorire la sopravvivenza delle attività commerciali: io così ho sostenuto che l’occupazione fosse dal ciglio del marciapiede in avanti, su strada, e il Consiglio di Stato ha condiviso, puntualizzando che questa è la regola ordinaria, non solo per le occupazioni Covid».
Ora la palla torna al Tar. Intanto, però, i tavolini possono restare.