Corriere della Sera (Roma)

Un marziano a teatro

In scena Marco Baliani, regista e autore di «Arlecchino?», debutta mercoledì all’Ambra Jovinelli «È lo sguardo di un alieno o di un bambino sulla realtà»

- Federica Manzitti

Lo spettacolo è interpreta­to da Andrea Pennacchi e Marco Artusi, Federica Girardello, Miguel Gobbo Diaz, Margherita Mannino, Valerio Mazzucato, Anna Tringali

«Mettere il dito dove non si deve: a questo servono le maschere». «Arlecchino?» spettacolo scritto e diretto da Marco Baliani, pensato insieme ad Andrea Pennacchi che ne è protagonis­ta, arriva all’Ambra Jovinelli dal 21 febbraio al 3 marzo. Con un «tradimento» alla tradizione della Commedia dell’Arte che vuole in realtà strapparla alle convenzion­i, questa versione della maschera è anche un racconto del teatro nel teatro che alterna momenti di cabaret, burlesque, avanspetta­colo, commedia, dramma, in un calderone postmodern­o interpreta­to da altri sei attori con musiche dal vivo. Marco Baliani — che nel 1989 ha dato il via al teatro di narrazione — si misura per la prima volta con la commedia goldoniana.

Perché ora?

«Ne ho vista tanta nella mia vita, ma per lo più è stato come andare al museo e vedere uno stilema senza vita. Mi sono ispirato ad Ariane Mnouchkine, fondatrice del Théâtre du Soleil, al suo Arlecchino interpreta­to da un attore nero. Dopo la regia di Giorgio Strehler di Arlecchino servitore di due padroni, questa riscrittur­a arriva come un tradimento intelligen­te alla tradizione. Lo abbiamo pensato con Andrea Pennacchi».

Vi conoscete da molto?

«Da quando era studente a Padova e lo incontrai per una formazione. Negli anni ci siamo detti che se avessimo fatto qualcosa insieme avrebbe dovuto essere folle e nuova per entrambi. È un attore come piacciono a me: un attore operaio, duttile e che sa cos’è la gavetta».

Il suo Arlecchino è goffo,

Andrea Pennacchi è il protagonis­ta di «Arlecchino?», all’Ambra Jovinelli fino al 3 marzo (foto di Serena Pea).

sovrappeso e fuori tempo.

«È lo sguardo di un marziano o di un bambino sulla realtà. Non essendo intrappola­to nelle convenzion­i è ambiguo: costruttiv­o e distruttiv­o, infingardo e intuitivo, come i fool di Shakespear­e o i giullari medievali, che osano mettere il dito dove non si dovrebbe».

Quindi dove?

«Potrei dire dal #Me-too al razzismo, dallo sfruttamen­to alla disuguagli­anza, ma sembrerebb­e teatro politico mentre, in realtà, il pubblico ride. Mi piacerebbe molto sapere cosa pensano i leghisti dello spettacolo».

La storia parla di una compagnia di giro che deve fare Goldoni, ma è improbabil­e e sottopagat­a.

«Il gioco del metateatro ci permette guizzi e colpi di scena. È una comunità coatta dove, come si dice qui: il più pulito c’ha la rogna».

Parlando di Roma e di teatranti…

«Stendiamo un pietoso velo. È incredibil­e quello che sta accadendo al Teatro di Roma, consideran­do che è una capitale privata di luoghi, tra cui il Valle che è un vulnus alla città, non solo al teatro. Per riprenders­i ci vorrebbe una forza spirituale, non politica e non mi pare proprio che ci sia».

Info: www.ambrajov inelli.org

Tornando al piano fantastico: nelle note di regia immagina un Goldoni seduto in platea molto divertito.

«È una boutade, ma è sempre buono ricordarsi che ci può essere il fantasma, l’anima dell’autore a supervisio­nare mentre lavoriamo. Anche Strehler, che era un uomo intelligen­te, riderebbe della nostra versione irriverent­e».

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In basso, Marco Baliani
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