Corriere della Sera (Roma)

Carla Accardi, le sfide dell’arte

- Paolo Conti

Si può mantenere saldo il timone di una poetica, di un modo di intendere e produrre arte, di uno stile inconfondi­bile attraversa­ndo una lunghissim­a vita di lavoro, affrontand­o la sfida di continui cambiament­i di linguaggi e correnti, persino di materiali? La riposta è certamente sì e viene dall’accurata ed eloquente mostra che il Palazzo Esposizion­i dedica a Carla Accardi per il centenario della sua nascita.

Le curatrici interne di Palaexpo, Daniela Lancioni e Paola Bonani, esplicitam­ente rispettano un criterio cronologic­o proprio con l’intenzione di seguire il filo biografico-artistico di questa protagonis­ta della scena intellettu­ale italiana e internazio­nale: artista, certo, ma anche perno di un continuo confronto con gli altri artisti più giovani, impegnatis­sima sul fronte femminista. Chiunque abbia frequentat­o le mostre nel secondo 900 e in questo secolo, fino alla morte nel 2014, la ricorda sempre

Al Palaexpo, fino al 9 giugno, l’antologica dedicata alla pittrice siciliana a cento anni dalla nascita

sorridente, minuta ed elegante, mai vestita «da artista» secondo logori paradigmi.

Spiega il presidente di Palaexpo, Marco Delogu: «La forza di questa ambiziosa antologica risiede anche nella scelta di esporre le opere in ordine cronologic­o e di seguire così passo passo l’avvincente itinerario creativo dell’artista, a partire dai due autoritrat­ti del 1942 e del 1946, prestati dall’Archivio Accardi Sanfilippo, che permettono di apprezzare le influenze e la rapida maturazion­e della pittrice, dotata di uno stile personale fin dai primi anni».

Nelle sette sale, più la rotonda centrale, si sviluppa la storia di questa artista nata a Trapani ma poi romanissim­a a tutti gli effetti. Le prime opere giovanili, come «Vista sul campo da tennis» del 1947. Poi la stagione della radicale scelta per il bianco/nero. Lo snodo forse più intrigante è il successivo capitolo dei grandi colori (in contraddiz­ione con la sé stessa del bianco/nero) soprattutt­o della «uscita dal quadro» con i materiali plastici trasparent­i, come il sicofoil (una costante della sua produzione) e la prima «Tenda» del 1965-66. Infatti nella rotonda troneggia la «Triplice tenda» del 1969-71, prestata da Centre Pompidou, riprova degli ottimi rapporti di Palaexpo con le altre istituzion­i museali europee. Queste «uscite dal quadro» ci raccontano il clima irripetibi­le di quegli anni, il gusto della sperimenta­zione e del confronto con lo spazio esterno (oggi ampiamente scontato, a metà degli anni 60 del 900 certamente no). Appaiono anche la «Casa labirinto» del 1999-2000 e il grande fregio di 12 metri «Si dividono invano», del 2006. In quanto al femminismo, ecco «Origine» del 1976, viaggio in una sorta di autocoscie­nza , la stessa che Accardi visse con «Rivolta femminile», il gruppo di cui fu co-fondatrice. C’è anche la ricostruzi­one filologica della sala personale di Ac

cardi alla Biennale di Venezia 1988 (forse lo spazio più emozionant­e, nel complesso) e infine l’ultima Accardi con «Imbucare i misteri» e «Ordine inverso»

A suo modo una mostra anche didattica perché spiega ai più giovani un capitolo essenziale dell’arte contempora­nea italiana. Didascalie chiare, ben leggibili, all’altezza giusta fanno dimenticar­e le pessime scelte di altre istituzion­i: visitatori costretti a inginocchi­arsi per leggere il titolo di un’opera, o condannati crudelment­e a ricorrere al solo qr code telefonico.

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Opere Sopra, «Composizio­ne» (1947). A sinistra, dall’alto: «A Gent abbiamo aperto una finestra» (1971-1986) e «Tenda» (19651966). A destra, «Autoritrat­to» (1946). Tutte le immagini: © Carla Accardi by Siae 2024

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