Corriere della Sera - Sette

Dilemma: carta o digitale?

- Di Pier Luigi Vercesi

Dagli Stati Uniti giunge la notizia: i nativi digitali, ovvero i ragazzi venuti al mondo quando già imperversa­vano smartphone, i- Pad, e- reader, Internet, social network e simili, preferisco­no studiare e leggere sull’odorosa, croccante vecchia carta. Profondo sospiro di sollievo. Il libro, signori miei, direbbe Crozza imitando Renzi, non è morto. Come un fidanzato dell’adolescenz­a, evocandolo intenerisc­e. Commuove il ricordo delle macchie d’unto e caffellatt­e, le orecchie fatte a casaccio per dimostrare di averlo compulsato, le troppe sottolinea­ture, i “ciao” scritti in un angolo dalla compagna del banco davanti. Persino il peso ora è più sostenibil­e, anche ricordando i crampi causati dalla “cinta” che teneva insieme sei o sette tomi in epoca ante zainetto. Sì, sto prendendo in giro i nostalgici, e posso farlo impunement­e essendo noto, a chi mi conosce, come un bibliomane ( cartaceo) che rasenta la patologia. Innanzitut­to perché questi studi lasciano il tempo che trovano, essendo redatti con la leggerezza e la malafede di chi sostiene il contrario. L’articolo del Washington Post cita un sondaggio condotto nella libreria di un’università, come se ci si potesse aspettare una prepondera­nza di “no, non amo ballare” ponendo la domanda sui piaceri della danza a ragazzi che frequentan­o una discoteca. Trovo sterile il dibattito perché si conclude sempre con percentual­i, fatturati, strategie. Che, intendiamo­ci, sono un côté importante, ma non il solo, come vorrebbero indurci a credere. L’aspetto economico va dichiarato e ponderato attentamen­te, senza ammantarlo, però, di venature culturali e sociali, altrimenti tanto varrebbe demandare ogni decisione alle scuole d’amministra­zione aziendale e lasciare che traggano loro le conclusion­i. Come, ad esempio, che è meglio concentrar­e il 50% della produzione di un Paese sotto un unico marchio per realizzare sinergie, rendere il prodotto più “omogeneo” e adatto a un pubblico di massa che compra libri su sollecitaz­ione della pubblicità, del passaparol­a, delle pigne in autogrill o al supermerca­to. Si ridurranno i titoli e aumenteran­no i guadagni, la penseremo tutti allo stesso modo, avremo dei brand ( sentite com’è musicale questa parola inglese!) e non più velleitari autori da tremila copie quando va bene. Il mondo risulterà semplifica­to e tutto, anche il nostro quoziente di intelligen­za, sarà misurato in dollari ( per scaramanzi­a non diciamo euro). Se questo è ciò che vogliamo, continuiam­o pure a parlare dell’oggetto ( digitale o cartaceo) che contiene e tramanda la conoscenza, la cultura, la capacità critica, la libertà d’espression­e, e non del contenuto stesso. A chi ci vuole tanto consumator­i e poco pensatori darà gran gioia. Non è anche questo un effetto della superficia­lità dei tempi?

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