Dilemma: carta o digitale?
Dagli Stati Uniti giunge la notizia: i nativi digitali, ovvero i ragazzi venuti al mondo quando già imperversavano smartphone, i- Pad, e- reader, Internet, social network e simili, preferiscono studiare e leggere sull’odorosa, croccante vecchia carta. Profondo sospiro di sollievo. Il libro, signori miei, direbbe Crozza imitando Renzi, non è morto. Come un fidanzato dell’adolescenza, evocandolo intenerisce. Commuove il ricordo delle macchie d’unto e caffellatte, le orecchie fatte a casaccio per dimostrare di averlo compulsato, le troppe sottolineature, i “ciao” scritti in un angolo dalla compagna del banco davanti. Persino il peso ora è più sostenibile, anche ricordando i crampi causati dalla “cinta” che teneva insieme sei o sette tomi in epoca ante zainetto. Sì, sto prendendo in giro i nostalgici, e posso farlo impunemente essendo noto, a chi mi conosce, come un bibliomane ( cartaceo) che rasenta la patologia. Innanzitutto perché questi studi lasciano il tempo che trovano, essendo redatti con la leggerezza e la malafede di chi sostiene il contrario. L’articolo del Washington Post cita un sondaggio condotto nella libreria di un’università, come se ci si potesse aspettare una preponderanza di “no, non amo ballare” ponendo la domanda sui piaceri della danza a ragazzi che frequentano una discoteca. Trovo sterile il dibattito perché si conclude sempre con percentuali, fatturati, strategie. Che, intendiamoci, sono un côté importante, ma non il solo, come vorrebbero indurci a credere. L’aspetto economico va dichiarato e ponderato attentamente, senza ammantarlo, però, di venature culturali e sociali, altrimenti tanto varrebbe demandare ogni decisione alle scuole d’amministrazione aziendale e lasciare che traggano loro le conclusioni. Come, ad esempio, che è meglio concentrare il 50% della produzione di un Paese sotto un unico marchio per realizzare sinergie, rendere il prodotto più “omogeneo” e adatto a un pubblico di massa che compra libri su sollecitazione della pubblicità, del passaparola, delle pigne in autogrill o al supermercato. Si ridurranno i titoli e aumenteranno i guadagni, la penseremo tutti allo stesso modo, avremo dei brand ( sentite com’è musicale questa parola inglese!) e non più velleitari autori da tremila copie quando va bene. Il mondo risulterà semplificato e tutto, anche il nostro quoziente di intelligenza, sarà misurato in dollari ( per scaramanzia non diciamo euro). Se questo è ciò che vogliamo, continuiamo pure a parlare dell’oggetto ( digitale o cartaceo) che contiene e tramanda la conoscenza, la cultura, la capacità critica, la libertà d’espressione, e non del contenuto stesso. A chi ci vuole tanto consumatori e poco pensatori darà gran gioia. Non è anche questo un effetto della superficialità dei tempi?