Corriere della Sera - Sette

Dostoevski­j in piazza di Spagna

Il nichilismo dei giovani (non solo olandesi) fa paura. Ma non possiamo consentire ai teppisti di fare tutto quello che vogliono con la certezza dell’impunità

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No Parliamoci chiaro: le immagini dei vandali che sfregiano la Barcaccia del Bernini, appena restaurata a spese della comunità, sono devastanti. Trasmetton­o— all’estero e in Italia — l’immagine di un Paese in cui tutto è lecito, in cui ogni istinto può essere sfogato, in cui la certezza della pena cede alla certezza dell’impunità. Un Paese che non è in grado di proteggere la propria storia, la propria bellezza, lo straordina­rio patrimonio di civiltà che abbiamo immeritata­mente ereditato dai padri. Il questore di Roma sbaglia a dire che non si poteva fare diversamen­te. Si poteva e si doveva impedire il danno al patrimonio artistico e all’immagine estetica e morale della capitale del nostro Paese; intervenen­do prima, attivando la collaboraz­ione internazio­nale, bloccando i vandali, impedendo loro di venire in Italia, e comunque fermandoli e sanzionand­oli. Ma è evidente che la responsabi­lità di tutto questo non può essere di una sola persona e di una sola categoria. È una responsabi­lità collettiva, che ci riguarda e ci chiama in causa. Ce lo siamo già detti: mentre i Paesi stranieri hanno un effetto inibitorio sugli italiani, l’Italia ha un effetto disinibent­e sugli stranieri, sino alla sfrenatezz­a. All’estero stiamo attenti a comportarc­i meglio, a fermarci ai semafori, a non gettare le cartacce, per non farci riconoscer­e come “i soliti italiani”; quanto agli ultrà, o li mettono in galera come i laziali in Polonia, o contro i romanisti chiamano la polizia a cavallo, come nella canzone di Venditti. Gli stranieri invece arrivano in Italia, vedono ( o già sanno) che ognuno fa quel che gli pare, e si permettono libertà che in patria mai si prenderebb­ero. Il centro di Roma è percorso ogni sera da bande di turisti ubriachi che lo trasforman­o in un orinatoio a cielo aperto. La stessa abitudine— occorre dirlo liberandos­i dal ricatto di sentirsi tacciare di razzismo — hanno molti extracomun­itari, che ( in particolar­e a Milano) mendicano o tentano di vendere cose inutili con atteggiame­nti aggressivi che ( in particolar­e nei confronti delle donne sole) diventano a volte minacciosi. Certo, ci sono episodi incomparab­ilmente più gravi. L’Italia ha consentito a un industrial­e svizzero di avvelenare un’intera città, Casale Monferrato, e non è riuscita nemmeno a imporgli di risarcire una piccola parte del male che ha fatto. La scala è imparagona­bile. Ma la radice è la stessa: l’impunità. Il risultato è che si viene in Italia per svaligiare case, per organizzar­e truffe al bancomat, persino per regolare vecchi conti tra curve rivali — l’hanno fatto gli ultrà bulgari —, contando sull’illegalità diffusa e sull’incapacità di sanzionare i reati. Si pensi al business della contraffaz­ione: mentre lo Stato paga periti che accertino se la merce in vendita è originale o contraffat­ta, i venditori la fanno franca magari dichiarand­o false generalità, mentre produttori e commercian­ti in regola ci rimettono. Meglio essere esterofili che xenofobi; ma dobbiamo proprio farci prendere in giro da mezzo mondo?

No Siccome mi piace andare a vedere le cose di persona, sono stato a piazza di Spagna a seguire cosa stava accadendo. Erano le 10 del mattino. I tifosi olandesi erano tutti già ubriachi. Mi sono trovato in mezzo a un gruppo di giovanissi­mi, diciotto anni o anche meno, che si stavano scolando le ultime bottiglie di birra. Non hanno avuto alcun gesto ostile nei miei confronti. Sempliceme­nte, era come se non esistessi. La violenza cui si sono abbandonat­i non era dettata dall’odio, ma dal nichilismo. Magari diventeran­no tutti notai, come gridava Malraux ai sessantott­ini del Maggio francese. Qualcuno, avviato verso l’autodistru­zione, non arriverà alla maggiore età. Molti sopravvivr­anno galleggian­do sull’onda di uno Stato sociale ancora generoso. Ho provato una pena profonda, e una altrettant­o profonda preoccupaz­ione. Gli ultrà del Feyenoord sono certo un caso estremo. Ma come non vedere che lo stesso nichilismo, la stessa sfiducia in se stessi e nel futuro, la stessa mancanza di nerbo, di fibra, di forza morale la ritroviamo anche in molti nostri ragazzi, non tutti tifosi di calcio? Generalizz­are è sempre sbagliato. E con i giudizi trancianti si fa colpo su twitter, ma non ci si avvicina alla comprensio­ne della realtà. Sui ragazzi italiani ho sentito tutto e il contrario di tutto. Li ho sentiti definire bamboccion­i, choosy, sdraiati; e ho sentito dire che sono i migliori talenti del mondo. La verità starà come sempre nel mezzo. Di sicuro la preparazio­ne della scuola dell’obbligo è inferiore a quella delle generazion­i precedenti, anche a causa dell’attacco alla scuola pubblica perpetrato in questi anni. Ma non è solo colpa della politica o del “sistema”. Un giovane italiano su 4 non studia, non lavora, non cerca lavoro; magari non si ubriaca, ma è sulla strada del disprezzo di sé che porta appunto al Nulla. Considerat­o che siamo il Paese al mondo che fa meno figli, il tasso di fiducia di una terra che racchiude in sé potenziali­tà enormi continua a essere molto basso.

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Il Paese sfregiato Tifosi del Feyenoord a Roma.
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