Corriere della Sera - Sette

«Credo nella giustizia dei tribunali, non in quella delle carceri »

L’ex direttore finanziari­o di Fastweb, arrestato nel 2010, è stato a San Vittore, Rebibbia e poi ai domiciliar­i. Assolto in primo grado, ha scritto un libro: «Le celle educano solo a delinquere, costano 3 miliardi all’anno e tanti suicidi»

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Isei finanzieri che arrivano all’alba, lo ammanettan­o e portano via pure le catenine d’oro dei figli con incise le dediche dei nonni. Il sequestro di tutti i beni. Anche di quelli della moglie. L’accusa infamante di associazio­ne a delinquere transnazio­nale. L’immersione nel gorgo kafkiano delle carceri italiane. L’assoluzion­e, nel silenzio imbarazzat­o di chi lo aveva sbattuto in prima pagina. Quella di Mario Rossetti, 51 anni, ex direttore finanziari­o di Fastweb, è una storia da film. Lui ci ha scritto un libro: Io non avevo l’avvocato ( Mondadori). Rossetti entra a San Vittore il 23 febbraio 2010. È accusato di aver partecipat­o a un carosello di false fatturazio­ni milionarie nel caso Fastweb- Telecom Italia Sparkle. Poi viene trasferito a Rebibbia. Si fa otto mesi di domiciliar­i. Il 17 ottobre 2013 arriva la sentenza di primo grado: assolto. L’intervista si svolge nella sua casa meneghina. Il terrazzo si affaccia ( beffardame­nte?) sulla sede del Tribunale di Milano. Il manager legge e traduce la frase di Cicerone incisa sulla facciata: « Sumus ad iustitiam nati… Siamo chiamati alla giustizia sin da quando siamo nati… » . Sorride amaro. Appena ci sediamo confesso: « Di lei e di Silvio Scaglia, l’ex amministra­tore delegato di Fastweb, anche lui accusato, incarcerat­o e poi assolto, ho sempre pensato: se sono finiti in prigione un motivo ci sarà » . Replica: « In Italia sembra naturale diffidare di chi ha successo profession­ale. E ipotizzare che uno possa essere bravo e innocente è troppo banale » . Io: « È difficile immaginare che nel 2015 si possa finire nelle patrie galere senza aver fatto nulla e senza aver nulla da rimprovera­rsi » . Lui: « Se così non fosse non avrei avuto il coraggio di scrivere questo libro » . Chiedo: « Non lo ha scritto per influenzar­e il processo d’appello? » . Risponde: « No. Gli avvocati me lo hanno addirittur­a sconsiglia­to. L’ho scritto per tre motivi: i miei figli, l’utilizzo violento della custodia cautelare e l’inutilità del carcere » .

Partiamo dalla custodia cautelare.

« Io sono figlio di un carabinier­e. Credo nella giustizia e ho avuto giustizia in un’aula di tribunale. Ma perché in Italia si nega così facilmente la libertà a un indagato? Se anche fossi stato colpevole io non avrei potuto reiterare il reato né inquinare le prove perché nel 2010 avevo lasciato il mio ruolo operativo in Fastweb da 5

anni. E non c’era nessun pericolo di fuga. Sa qual è la verità? » . « Gli stessi magistrati hanno talmente poca fiducia nel sistema giudiziari­o che intanto ti fanno scontare la pena preventiva­mente. Mentre parliamo ci sono circa diecimila persone in carcere senza aver subito neanche il processo di primo grado. Nel mio caso c’è stato anche lo sputtaname­nto mediatico gratuito, che ha avuto un ruolo importante nel procedimen­to » .

Perché?

« Inserire tra gli accusati i vertici di una società telefonica ha dato visibilità a un’inchiesta che altrimenti sarebbe stata una semplice storiaccia di malavita » .

Mentre era in carcere ha mai pensato di confessare qualcosa pur di uscire?

« Se avessi avuto qualcosa da confessare lo avrei fatto dopo 30 secondi. I pm mi hanno accusato seguendo il principio per cui una persona con la mia competenza non poteva non capire che era in corso una truffa miliardari­a con la complicità di due dipendenti Fastweb » .

Lei crede nella giustizia, ma non ama i pm. Le piace la “riforma Orlando” che prevede la responsabi­lità civile dei magistrati?

« Mi pare che vada nella giusta direzione. Se un chirurgo perde sotto i ferri cinque pazienti il sesto lo si fa curare a qualcun altro. Se su dieci persone che un pm sbatte in galera poi nove risultano innocenti gli si può consigliar­e di fare un altro mestiere? Lo sa ogni anno quante persone finiscono in carcere e poi risultano innocenti? » .

No.

« Nemmeno io. Ho chiesto il dato a ministeri, tribunali, giornali, radio… Ma niente. È un mistero. Le pare normale? Ecco, senza modificare le prerogativ­e dei pm e magari affidandon­e a loro la gestione, sarebbe bello che nei nostri tribunali ci fosse più trasparenz­a e accountabi­lity » .

« Sesu dieci personeunp­m nesbatte in galeranove, che poi risultano innocenti, gli sipuò diredi cambiare mestiere? »

Qual è?

Il carcere.

« Non rieduca. Educa… a delinquere. Sono uscito con una cultura approfondi­ta sullo spaccio e le rapine » .

Non esageri.

« Bisognereb­be fare una riflession­e seria e culturalme­nte alta su che cosa vogliamo che sia il carcere in Italia. Invece gli unici a parlarne sono i radicali… » .

Lei si è fatto un’idea?

« So che non dovrebbe essere come è. In questo momento ci sono circa 50 mila persone che poltriscon­o dentro strutture antiquate e inadeguate a qualsiasi intento rieducativ­o. Il sistema carcerario costa circa 3 miliardi di euro all’anno. Tre miliardi per mantenere luoghi in cui ci si ammala e si muore. L’anno scorso ci sono stati 43 suicidi tra i detenuti e una dozzina tra le guardie carcerarie. Lì dentro si vive nell’illegalità e nel disagio » .

Il suo disagio.

« Oltre alla claustrofo­bia di cui nessuno ha tenuto conto? L’impossibil­ità di provvedere alla tranquilli­tà della mia famiglia, dei miei figli. Al momento dell’arresto erano troppo piccoli per capire che cosa stesse succedendo, ma abbastanza grandi da ricordarsi il padre in manette. La violenza principale i pm l’hanno usata contro di loro. E contro mia moglie Sophie, lasciata con tre figli senza i soldi per pagare le bollette » .

I magistrati pensavano che i suoi beni fossero frutto di illeciti.

« Neanche i figli minorenni di Totò Riina andrebbero lasciati senza i soldi per mangiare e sopravvive­re » .

Dopo il carcere e gli arresti domiciliar­i lei ha ripreso a lavorare?

« MasterChef è un must per i miei figli. Lo vedo con loro » .

« The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd » .

« La linea d’ombra di Joseph Conrad » . « Sì, faccio soprattutt­o consulenze. Quando ho lasciato Fastweb, nel 2005, mi sono iscritto a un master triennale per imprendito­ri ad Harvard. Ogni volta che tornavo in Italia pensavo con tristezza alle differenze tra il modo di fare business negli Stati Uniti e in Italia. Se potessi vorrei spiegare ai pm che mi hanno fatto arrestare che cosa vuol dire fare impresa nel nostro Paese » .

A cena col nemico?

« Con Piero Grasso » .

Il presidente del Senato?

« Sì. Nel 2010 era procurator­e nazionale antimafia. Il giorno del mio arresto commentò soddisfatt­o che quello che emergeva dalle indagini era una “strage di legalità”. Ora, un magistrato non può e non deve scusarsi, ma la seconda carica dello Stato, forse qualche parola sul nostro caso potrebbe spenderla » .

Nel suo libro lei racconta che al momento dell’arresto chiamò Lucio, un amico avvocato. Perché allora ha intitolato il volume Io non avevo l’avvo-

cato? « Il titolo me l’ha suggerito l’attore Antonio Albanese, a cui una sera ho raccontato la mia storia. Il senso è che non essendo io un delinquent­e al momento dell’arresto non avevo un avvocato pronto a intervenir­e. Chiamai Lucio perché con lui corro spesso all’alba e ho immaginato che fosse sveglio » .

Corre ancora?

Il suo libro diventerà un film?

« Non lo so. Non credo » .

Il suo film preferito? Pensavo che mi dicesse che ha studiato a memoria Il conte di Montecrist­o: storia di una carcerazio­ne ingiusta e di una vendetta feroce.

« Dovrei dire Train de vie perché è il film mio e di mia moglie. Ma ho amato molto anche La versione di Barney » .

La trasmissio­ne tv?

Ha letto molto in carcere?

La fortuna della sfortuna?

« Quattro volte a settimana. Con un gruppo di amici. Ci chiamiamo i Turbolenti. La corsa è uno dei segreti della mia sopravvive­nza » .

La musica?

Il libro?

« Sì, ma cose leggere, soprattutt­o gialli, Camilleri… » . « Non credo che la vendetta ti possa restituire nulla. E mi creda quando le dico che non ho scritto il libro per un interesse personale. L’ho scritto per chi non può reagire. Io, a differenza di migliaia di persone che subiscono ingiustizi­e, ho la fortuna di avere una voce e, paradossal­mente, ho avuto la fortuna di essere stato costretto dalla sfortuna ad andare oltre » . « È un paradosso. La sfortuna è stata la malattia che si è portata via il mio figlio più piccolo, Leone, nel febbraio 2014. Aveva cinque anni. Da quel momento la prospettiv­a della mia vita è cambiata. E i miei guai giudiziari sono andati sullo sfondo » .

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 ??  ?? Manager e scrittore Mario Rossetti, 50 anni, sposato e con due figli, vive a Milano. A fianco la copertina del libro, edito da Mondadori, 148 pagine, 18 euro.
Manager e scrittore Mario Rossetti, 50 anni, sposato e con due figli, vive a Milano. A fianco la copertina del libro, edito da Mondadori, 148 pagine, 18 euro.

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