Il futuro d‘ Europa prese forma tra lussi edanze
L’arrivo trionfale del re di Prussia e dello zar Alessandro. Gli accordi segreti, gli interessi di Austria e Russia. Il burattinaio Metternich. Ma l’arrivo francese rimescola le carte
L’incontro dei sovrani
Dopo vent’anni di guerre, umiliazioni e angosce, l’estate e l’autunno del 1814, l’Europa doveva conoscere a Vienna una stagione in cui nessuno sperava più, quella di una ritrovata dolcezza del vivere. L’avventuriero corso che si era autoproclamato imperatore dei Francesi, che aveva dormito da padrone a Schönbrunn, e al quale un imperatore vero come Francesco d’Austria aveva dovuto dare la figlia in sposa, aveva finalmente pagato il fio delle sue scelleratezze: era stato relegato all’isola d’Elba, un regno così minuscolo da equivalere agli arresti domiciliari. I sovrani delle potenze alleate che lo avevano sconfitto partivano per il Congresso che avrebbe ridisegnato la mappa dell’Europa in preda a sentimenti di vera euforia. Pensavano di restare a Vienna non più di tre settimane, un mese al massimo; ma soprattutto erano sicuri di potersi finalmente concedere quasi tutto. Anche se non erano più tempi di cipria e codino, l’eleganza settecentesca poteva tornare a risplendere. Già sacrificati alle spese militari, lusso, sfarzo e magnificenza diventavano anche uno strumento politico, un modo per impressionare gli interlocutori. Convergevano su Vienna imperatori e sovrani di stati d’ogni taglia, specie i tedeschi, con i loro seguiti variopinti, trascinando con sé una folla di funzionari, ufficiali, servitori, ecclesiastici, faccendieri, mezzani, avventurieri, postulanti, informatori e spie, truffatori e que- stuanti. In poche settimane, almeno centomila persone avevano invaso la capitale, sconvolgendone l’economia. Prezzi e affitti erano schizzati alle stelle, sospinti da una richiesta che non accennava a placarsi. Si calcolava che l’affitto di pochi mesi bastasse a coprire l’intero valore di un immobile. Fornitori di servizi e commercianti si fregavano le mani, popolo e borghesia cominciavano ad allarmarsi. Francesco d’Austria, noto per la grettezza, era costretto a recitare la parte dell’ospite munifico e spendeva ogni giorno per la mensa imperiale 50.000 fiorini, sottratti alle pensioni d’invalidità dei suoi soldati. Tuttavia alle pubbliche cerimonie preferiva le occupazioni domestiche d’un pensionato: suonare il violino, riverniciare la gabbia degli uccellini, intagliare modellini di carta. L’entrata più solenne era stata quella congiunta dello zar Alessandro e del re di Prussia, preceduti da interi reggimenti della guardia ungherese e degli ulani, e scortati da un debito corteggio di principi, duchi, arciduchi, generali, con grande concorso di folla festosa, scampanii e rombi di cannone. Presero posto sulla stessa carrozza con le rispettive consorti e accolsero benevolmente l’omaggio di intere corbeilles di fiori da parte di uno sciame di fanciulle biancovestite. Ogni giorno le carrozze dei potenti percorrevano i viali e le strade cittadine in una parata continua, precedute da valletti corridori che roteavano bastoni con il pomo d’argento. Ovunque si accal-
Anche se non erano più tempi di cipria e codino, l’eleganza settecentesca torna a splendere
cavano ufficiali d’ogni grado: a piedi, a cavallo, esibendo le più sgargianti uniformi d’Europa.
Piovuti da un altro pianeta. Degli illustri ospiti, lo zar Alessandro sembra il più cogitabondo, persino malinconico. Tiene alati discorsi liberaleggianti, ha l’aria ieratica del redentore dell’universo. Ai balli sembra preferire la compagnia dei suoi elegantissimi ufficiali. I viennesi un po’ lo ammirano un po’ lo temono, perché è l’alleato più ingombrante. Anche il plenipotenziario inglese, il visconte di Castlereagh, di origini irlandesi, appare piuttosto impenetrabile. È insieme timido e orgoglioso, parlare in pubblico per lui è un vero tormento. È un depresso consapevole dei propri limiti ( e infatti finirà suicida). Ha una moglie corpulenta e un po’ stupida e, che al ballo di carnevale ha la pessima idea di travestirsi da nastro dell’ordine della Giarrettiera. Ai ricevimenti domenicali la famiglia canta devotamente gli inni della Chiesa anglicana. I viennesi ridono. Il visconte s’è tirato dietro un fratellastro, sir Charles Stewart, buon diplomatico, che è insopportabilmente vanitoso. Lo ribattezzano “Pumpernickel”, il grosso pane di segale che è la specialità della Westfalia ( ma evoca anche un suono di scorregge). Con la loro aria rigida e antiquata, gli inglesi sembrano essere piovuti da un altro pianeta. Federico Guglielmo III di Prussia è anche lui di quelli che si trovano a disagio nella
mondanità e sognerebbe di potersene tornare in pace a lavorare nel suo castello. Di tutt’altra pasta è il suo ministro degli esteri, il principe Herdenberg, che contende a Metternich la parte del gran seduttore. Il team prussiano è molto forte ( comprende anche il dotto barone Guglielmo di Humboldt, fratello del celebre naturalista e fondatore dell’Università di Berlino) perché alte sono le sue aspettative. La partita in effetti è complicata. I russi sono decisi, anche a costo di riprendere le armi, a tenersi la parte di Polonia che hanno già. Anche la Prussia vuol tenersi il suo pezzo di Polonia, e in più mira ad annettere la Sassonia, ghiotto boccone per tutti. L’Austria teme una Prussia troppo forte, vuol mettere le mani sull’Italia, e guarda preoccupata l’espansionismo russo verso i Balcani. L’Inghilterra mira a contenere la Francia, creando un regno nei Paesi Bassi, e stabilendo una forte presenza tedesca sul Reno. Anche gli inglesi pensano a Costantinopoli, e non vogliono rafforzare la Russia con la Polonia. Infine Luigi XVIII, tornato sul trono, non vuole che gli Austriaci si annettano il regno di Savoia, e arrivino alle Alpi. La delegazione austriaca è guidata da Klemens Wenceslaw Lothar, principe di Metternich dal 1813. Viene da una nobile fami- glia della Mosella, costretta a rifugiarsi in Boemia con l’arrivo di Napoleone. Grazie anche a un avveduto matrimonio con la nipote del cancelliere di Maria Teresa d’Austria von Kaunitz, ha compiuto una rapida ascesa in diplomazia ( Dresda, Berlino, Parigi). Nel 1809, a trentasei anni, è ministro degli Esteri. Occhi azzurri, conversatore brillante, sorriso lievemente beffardo, tombeur de femmes, afflitto da un forte complesso di superiorità al punto da risultare indisponente, ha ottime relazioni un po’ dappertutto. È nemico di ogni pretesa egemonica che metta a repentaglio l’equilibrio complessivo del sistema europeo. Lo chiamano “il ministro del bordeggio”, perché preferisce far navigare sottocosta il vecchio e malandato galeone imperiale, che di tempeste ne ha già viste anche troppe. Apprezza sportivamente l’energia sovrumana di Napoleone e le sue capacità organizzative, ma ha capito che la sua folle corsa, costretta a nutrirsi del sangue di sempre nuove vittorie, non potrà durare. Nel 1813 a Dresda ha un drammatico incontro di nove ore con lui, e cerca invano di portarlo a un ragionevole compromesso di pace. Impassibile davanti a minacce e sfuriate, alla fine ha il coraggio dirgli a muso duro: « Voi siete perduto! » . Era stato sempre lui a firmare il capolavoro diplomatico ( un anno di fatiche) delle nozze di Maria Luisa con Napoleone. Il parvenu corso voleva sposare la sorella dello zar Alessandro, ma questo per l’Austria avrebbe significato finire in una morsa letale. Sacrificando Ifigenia- Maria Luisa sull’altare degli equilibri, Metternich poteva continuare a essere l’ago della bilancia europea almeno per qualche anno. Il maestro dei contrappesi, il custode del rigor mortis dell’Ancien Regime è anche lui un farfallone amoroso, e non si dà pena di nasconderlo. Di lui si dice che è sempre innamorato, che ama due donne alla volta, per esempio la duchessa di Saganmaanche Carolina Bonaparte, coniugata Murat e regina di Napoli. Si fa fare in continuazione dei ritratti, scrive bigliettini, e così la Cancelleria va come può. È vero che anche le donne fanno parte del gioco politico, ma la sua leggerezza può diventare una calamità, in una circostanza delicata come quella.
Il tempo della politica. Feste, balli e ricevimenti impazzano. « Il Congresso danza ma non avanza » , secondo il celebre calembour coniato dal principe di Ligne, arguto esponente dell’Ancien Régime. Nella sua autobiografia, Metternich gli dà una risposta piccata, come ci ricorda Luigi Mascilli Migliorini nella sua recente, autorevole biografia del cancelliere austriaco ( Salerno editrice): i lavori non vennero per nulla ritardati da una cornice di festeggiamenti — in qualche modo dovuti ai tanti illustri ospiti della corte imperiale —, e tutto sommato si conclusero nello spazio di pochi mesi. Dimentica di aggiungere, prosegue Mascilli, che quella cornice non solo rispondeva bene « a quella maniera sempre un po’ svagata con la quale egli sembrava condurre gli affari politici: proprio l’inevitabile rallentamento, l’elusiva rilassatezza dei tempi, si rivelava in qualche modo funzionale al lento maturare di un pensiero ancora assai impreciso su come raggiungere gli obiettivi che ci si prefiggeva » . Inglesi, austriaci, prussiani e russi s’erano incontrati a settembre, e avevano buttato giù una bozza d’accordo, sicuri di poterla imporre agli altri. Non avevano fatto i conti con l’ultimo dei grandi, arrivato a Vienna con tutta calma, l’uomo che era stato più volte ministro di Napoleone e adesso rappresentava la Francia della restaurazione, quella di Luigi XVIII: Charles- Maurice de Talleyrand- Périgord, principe di Benevento.
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