Senza fotogiornalismo muore la testimonianza
Ritratti di personaggi. Racconti per immagini di paesaggi, spiritualità, guerre. Storie di cronaca. Nessun drone può sostituire un obiettivo
Non vi sarà mai una tecnologia che sostituirà la necessità di avere sui fatti un testimone diretto con un cuore, una mente, una coscienza e il sangue che scorre, tumultuoso, nelle sue vene. Un testimone che documenterà a modo suo. Con le parole e con le immagini. Che accompagnerà il lavoro con le passioni, le paure, la voglia di gridare contro le ingiustizie e di sperare— con il suo piccolo contributo — di cambiare, se non i destini, i dettagli della storia. Non vi sarà mai un drone che sostituirà un grande fotografo o un grande cronista. Mai » . Così scrive Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere della Sera e presidente della giuria del Premio Amilcare G. Ponchielli edizione 2014, nel volume che festeggia i dieci anni di esistenza del premio stesso. E Amilcare Gianni Ponchielli ( 1946- 2001), primo photo- editor italiano e photo- editor di Sette dall’inizio degli anni Novanta al 2001, lo aveva capito e da sempre aveva affidato ai fotografi il compito di portargli in redazione le testimonianze di eventi, viaggi, emozioni, battendosi poi perché i loro lavori venissero pubblicati e quindi conosciuti. A lui l’asso- ciazione dei photo- editor, GRIN, ha dedicato un concorso che ogni anno premia un progetto di fotogiornalismo. Il volume 10 fotografi, 10 storie, 10 anni ( pubblicato da Contrasto con il sostegno di GTech) e, contemporaneamente, una mostra alla Galleria San Fedele ( a Milano, via Hoepli 3A/ B, dall’ 11 al 28 marzo) propongono le storie dei dieci fotografi vincitori. In sequenza cronologica, dal 2004, Alessandro Scotti, Giorgia Fiorio, Massimo Siragusa, Lorenzo Cicconi Massi, PaoloWoods, Martina Baci-
Un libro e una mostra per i 10 anni del Premio Amilcare Ponchielli
galupo, Andrea Di Martino, Guia Besana, Tommaso Bonaventura e Alessandro Imbriaco, Fabio Bucciarelli. Autori oggi tutti notissimi che certamente possiedono le caratteristiche che de Bortoli sottolinea, sono cioè testimoni della storia con il cuore, la mente, la coscienza, il sangue che scorre nelle vene e che conservano intatta la speranza che grazie al loro lavoro qualcosa possa cambiare. Ma la mostra e il libro raccontano anche altro. Raccontano lo stato dell’editoria italiana periodica ( che le storie per immagini dovrebbe pubblicare), l’evoluzione della fotografia, la vitalità di una generazione di autori che, sparsi per il mondo, continuano con passione nella loro missione di raccontarci quello che accade.
Sopravvissuti. I dieci anni sono anche dieci anni di visioni: al linguaggio diretto del fotogiornalismo puro nel corso del tempo si sono mescolate le riletture dell’architettura, i ritratti, le interpretazioni delle angosce, le immagini di paesaggi vicini e lontani. Le storie raccontano la produzione e la diffusione delle droghe, le diverse forme di spiritualità nel mondo, i luoghi del tempo libero e i giovani che cercano la vicinanza dei loro coetanei, l’occupazione cinese in Africa e la tragedia di una giovane donna in Burundi, il riutilizzo delle chiese sconsacrate e le inquietudini delle neomadri, il volto nuovo del fenomeno mafioso e la feroce battaglia di Aleppo. Dato per morto con l’avvento della televisione a metà del secolo scorso, nel corso degli anni il fotogiornalismo ha certo affrontato molte malattie. Ma se oggi è sempre a rischio di agonia, i fotografi italiani godono di eccellente salute. Come dimostrano i vincitori del Premio Ponchielli.