Inseguendo Dio, Hegel ha riscoperto l’uomo
Ha disprezzato natura, scienza e arte. Polemizzato con Kant e Goethe. Poi esaltato il Romanticismo, sostituito alla morale l’etica. Fino ad affermare la soggettività al di sopra di tutto
Una illuminante rilettura del pensatore dell’idealismo tedesco
Siamo all’inizio di un nuovo Hegel- revival dopo l’esegesi di Heidegger, Gadamer e Derrida e il “rinascimento esistenzialistico di Hegel” di J. Wahl, J. Hyppolite e A. Kojève? Rispunta oggi da ogni parte, talvolta come stampella di un redivivo Marx, la grande ombra di Hegel. Non c’è da meravigliarsene, per una filosofia che abbracciò tutto lo scibile e si presentò come erede e inveratrice di tutte le filosofie precedenti. Non bisogna dimenticare che la Goethezeit, massima epoca affermatrice dello spirito tedesco, fu anche la Hegelzeit. Hegel fu, accanto a Goethe, l’altro vertice della Klassik, l’epoca classica della letteratura e filosofia tedesca, con cui coincise la Klassik della musica con Haydn, Mozart e Beethoven. Goethe e Hegel si conobbero e si stimarono. Hegel diventò professore a Iena grazie all’intercessione di Goethe. Ma le loro figure divergono in cose fondamentali. Goethe esaltò la misura; Hegel, nel suo volo nell’assoluto, la dismisura. Goethe fu un monito ai tedeschi contro der Titanen Übermut, la iattanza dei titani, e contro ogni nazionalismo nella cultura; Hegel la attizzò, venendo incontro alla brama di infinito e di assoluto dei suoi compatrioti, ed ebbe una concezione europacentrica e germanocentrica del mondo ( la Germania è la parte razionale della terra). Goethe divinizzò la natura, Hegel la disprezzò, come spirito alienato. In un viaggio giovanile nelle maestose Alpi bernesi, trovò noiosi ghiacciai e monti, « masse eternamente morte » . Il cielo stellato di Kant era per lui un cielo con la lebbra. Goethe disprezzò il Romanticismo ( « Chiamo classico ciò che è sano, romantico ciò che è malato » ) , Hegel lo esaltò come l’epoca superiore a quella classica. Goethe fu un pagano “olimpico”, Hegel un cristiano, anche se contro la sua razionalizzazione del cristianesimo Bruno Bauer, già appartenuto alla destra hegelia- na, diede fiato a La tromba del giudizio universale contro Hegel ateo e anticristo. Ma Vincenzo Cicero, gran traduttore di Hegel: « Lo spirito di cui parla Hegel non è altro che il Dio uno e trino del cristianesimo » , col Padre come in sé, il Figlio come per sé e lo Spirito Santo come in sé e per sé. Goethe distinse e separò religione e filosofia, Hegel le unificò e identificò. Goethe mise in guardia contro i concetti e la loro proliferazione, Hegel identificò il concetto con Dio. Goethe si riteneva un nulla senza la morale, Hegel sostituì alla morale, contrassegnata dal contrasto tra l’essere e il dover essere, l’eticità, in cui essere e dover essere coincidono. L’eticità è incarnata dallo Stato ( prussiano) e dalle sue istituzioni. Lo Stato prussiano ricambiò adottando la filosofia hegeliana come sua filosofia ufficiale. Goethe fu contrario all’ipostasi del soggetto, Hegel affermò la soggettività al di sopra di tutto. Goethe portò al trionfo l’arte tedesca, Hegel decretò la morte dell’arte. Goethe coltivò la scienza, Hegel la strumentalizzò e disprezzò. Goethe cercò l’unione con la natura, Hegel l’unione con Dio. Grande contestatore. Cominciò attaccando Kant. Per Kant la distinzione di fenomeno e noumeno si iscrive all’interno del principio di ragione, che è soggettivo, dunque non vale fuori da tale ambito. Per Kant il fenomeno è apparenza, idealità prodotta dalle forme a priori dell’intuizione; per Hegel i fenomeni sono piene espressioni dell’essenza, del noumeno, hanno valore ontologico. Tutto ciò che è reale è razionale e viceversa. Continuò polemizzando con Jacobi e la sua filosofia del sentimento, del sapere immediato e della fede: aperta, secondo lui, al fatto bruto, ai capricci dell’opinare e dell’asserire individuale, alle immaginazioni e superstizioni. Polemizzò anche col di lui maestro J. G. Hamann, detto il Mago del Nord, per la sua filosofia del “pugno chiuso”, non dispiegata a sistema. Distinse i sistemi di filosofia di Fichte e Schelling e li criticò entrambi per
il loro cattivo infinito, che il finito si affanna a inseguire senza mai raggiungerlo. Il buon infinito è il suo, quello che abita già nel finito, sicché non c’è che l’infinito, non il finito e l’infinito. Solo che l’infinito si incaglia negli ostacoli dell’esperienza e per scoprirlo la nostra coscienza deve fare un avventuroso viaggio con varie tappe. Il racconto di questo viaggio ostacolato, grande dramma dell’umanità, è la Fenomenologia dello spirito, prima e più grande delle sue opere sistematiche. Essa è ricca di figure che sono diventate leggendarie ( servo- padrone, coscienza infelice, ecc.) e segna il tormentato passaggio dagli scritti giovanili ( pubblicati solo nel 1907) al sistema spiegato, formato dalla Logica, dall’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, dai Lineamenti di filosofia del diritto e dai corsi di lezioni di Filosofia della storia, Estetica, Filosofia della religione e Storia della filosofia. Proprio nella famosa Prefazione alla Fenomenologia dello spirito, l’Everest si stacca dal K2 ( Schelling) e lo sormonta, portando alla massima altezza il massiccio Kant- Fichte- Schelling- Hegel. Dopo, non son bastati due secoli di feroce opposizione e una moltitudine di bastian contrari come Feuerbach, Stirner, Schopenhauer, i positivisti, Kierkegaard, Marx ( figlio degenere, lo mise a testa in giù) e Nietzsche, per dirompere il macigno della sua grandiosa sintesi, che abbraccia la teoria e la storia di tutte le forme di realtà. Dice D. Fr. Strauss: « Da qui Hegel salpò per la prima volta con il proprio vascello per circumnavigare il mondo, forse seguendo la rotta di Ulisse » . Apparsa nel 1807, la Fenomenologia fu terminata nella mezzanotte del giorno precedente la battaglia di Iena tra l’esercito prussiano e quello napoleonico ( 13 ottobre 1806). Vinse Napoleone e Hegel lo vide a Iena come spirito del mondo a cavallo. Ma la sua casa fu sequestrata dai francesi.
Un mondo nuovo. La Fenomenologia è un « diabolico ma meraviglioso libro, nel quale è una originalità, una freschezza, una maniera ardita di dire, di fare ecc., che mi ricorda Dante: è il creatore di un nuovo mondo, che trova una nuova forma » , dice Bertrando Spaventa. Ma Schopenhauer: « Chi riuscisse a leggere la sua opera più celebrata, la cosiddetta Fenomenologia dello spirito, senza avere l’impressione di trovarsi in un manicomio, dovrebbe esservi rinchiuso » . Ma qualunque sia il valore del contenuto, il linguaggio di Hegel è irto, roccioso e spesso incomprensibile. A detta del grande storico hegeliano Theodor Haering, « è un segreto di Pulcinella che nessun interprete di Hegel sia in grado di spiegare, parola per parola, una sola pagina dei suoi scritti » . È una delle tante contraddizioni di colui che affermò: « Il linguaggio è l’esistenza stessa dello spirito » . Certo anche per questo Hegel merita di essere detto l’Eraclito redivivo, clarus per obscuram linguam, anche se in primo luogo per la dialettica, che rende fluidi i concetti rigidi dell’intelletto, e il divenire. Ma egli è pure e forse più un Parmenide redivivo, perché di fronte a ogni realtà la sua visione è quella dell’infinita essenza dell’Assoluto, anche se umanamente impaniata nell’esperienza. È proprio questa visione o trasfigurazione, con cui Hegel si riunisce a Goethe, che impedisce di bollarlo come un laudatore dell’esistente.
3 - continua Sette prosegue l’analisi dei grandi filosofi. Sono già stati pubblicati: Nietzsche (n°46 del 14/11/2014) e Montaigne (n°1 del 02/01/2015).