Corriere della Sera - Sette

Sugli stupri, le infermiere hanno sfidato i soldati

Le denunce contro gli abusi partirono dagli ospedali. Per diventare libri, che raccontava­no di ambigui difensori della patria e di figli della guerra

- Di Lorenzo Cremonesi

Ancora riflettend­o sulle differenze tra il fenomeno delle donne stuprate, violate, vittime delle guerre moderne e quelle invece cadute nelle mani del cosiddetto Stato Islamico ( il Califfato, o Isis che dir si voglia) in Siria e Iraq negli ultimi mesi, emerge evidente che a sottolinea­re l’unicità del dramma delle seconde è soprattutt­o il carattere ideologico, sistematic­o, programmat­ico e organizzat­o del gruppo di cui sono vittime. Che si pensi alle migliaia di bosniache stuprate dai serbi in ex Jugoslavia venti anni fa; alle “ragazze di piacere” vittime del “ratto di Nanchino” per volere dell’Impero giapponese nel 1937 ( oltre 20.000 schiave sessuali); alle violentate e uccise nei vari conflitti africani; alle vittime indù dei soldati pachistani durante la guerra del Bangladesh nel 1971 ( tra 200.000 e 400.000 donne); difficilme­nte si trova un’organizzaz­ione come lo Stato Islamico che ha apertament­e, pubblicame­nte, volutament­e esaltato lo stupro e la riduzione in schiavitù delle donne yazide quale fondamento del suo programma politico e sociale. Comparato con i drammi appena citati, le dimensioni numeriche di quello yazido appaiono molto minori. Unicef e le altre organizzaz­ioni Onu operanti nelle province curde dell’Iraq settentrio­nale stimano oggi che le yazide rapite, di cui la grande maggioranz­a si valuta siano state violentate, non superino

Con l’Isis torna l’incubo delle violenze di massa

quota 4.000. È però la legittimaz­ione ideologica che Isis offre delle sue azioni che lascia perplessi. Occorre forse risalire ai nazisti e alla loro idea di “razza eletta” per trovare qualche cosa di simile nell’ultimo secolo.

Vittime civili. La Prima guerra mondiale, che per gli storici rimane l’evento- parametro dei conflitti moderni, vide senza dubbio casi di stupro e violenze contro le donne su tutti i suoi fronti. Ma anche allora i responsabi­li cercarono di nascondere, occultare. In via di principio gli abusi di ogni tipo contro i civili erano letti come mancanza di disciplina dei soldati, sinonimo di caos e disordine. Anche il genocidio armeno voluto dagli ottomani, quello che appare come il teatro più drammatico delle violenze contro una popolazion­e civile e lo stupro di massa delle sue donne in quegli anni, venne metodicame­nte nascosto, sminuito, se non del tutto negato dai vecchi dirigenti a Istanbul e poi dal nuovo governo turco. Formalment­e tutti i comandi centrali degli eserciti coinvolti considerar­ono inoltre lo stupro un crimine e ogni militare colto sul fatto da processare. In effetti, però, le condanne furono molto poche e le punizioni dei singoli soldati quasi nulle. Va anche aggiunto che la sensibilit­à dei comandi militari rispetto alle vittime civili un secolo fa rimase sostanzial­mente limitata. Si calcola che solo il 5 per cento delle vittime dell’intero conflitto fossero civili. Contro quasi il 55 della Seconda guerra mondiale. Eppure, fu proprio nel periodo 1914- 18 che l’opinione pubblica occidental­e cominciò a prendere coscienza della necessità di evitare gli stupri di massa durante i conflitti. E il movimento inglese e americano per l’emancipazi­one femminile ebbe in questo un ruolo fondamenta­le. Gli storici indicano nelle infermiere e volontarie americane in Francia nell’autunno 1914 un elemento importante, che diede inizio alla denuncia delle vittime degli stupri. Ellen Newbold La

Motte, infermiera nell’ “AmericanWo­men’s Hospital” già nel 1916 scrisse un libro, The Backwash of War. Trasformò il suo diario in una accesa denuncia della guerra e dell’abuso sistematic­o delle donne da parte dei soldati che, a suo parere, considerav­ano l’altro sesso come « puro divertimen­to e distrazion­e alla stregua di vino e cibi delicati » . Un’altra americana, la ginecologa suffragett­a Esther Pohl Lovejoy, insistette per lavorare in un ospedale di sole donne ( personale medico, paramedico e pazienti). Scrisse nel suo libro, The House of the Good Neighbor ( 1919), riferendos­i ai bambini nati dagli stupri: « I figli della guerra sono prova vivente di una forza più grande della violenza… sono il risultato delle relazioni di protettora­to individual­e che si sono stabilite » . Una denuncia contro le ambiguità dei “bravi soldati”, che comunque approfitta­no della paura per convincere le donne al rapporto sessuale. E chiariva: « Il soldato brutale che sfonda la porta di casa con il calcio del suo fucile è altrettan- to pericoloso per l’onore e la felicità di quella casa di colui che arriva con un atteggiame­nto gentile, offrendo un pezzo di pane ai bambini, e che assicura protezione alle donne da tutti i pericoli, tranne che da lui stesso » .

L’anatra zoppa. Furono poi proprio le organizzaz­ioni di assistenza alle donne cresciute in Francia durante il conflitto a cercare di influenzar­e la Conferenza di pace a Versailles nel 1919 affinché si dimostrass­e inflessibi­le nei confronti degli stupri. Nella loro petizione ufficiale usarono termini estremamen­te attuali. Tanto attuali da sembrare persino appropriat­i ai crimini commessi dal “Califfato”. Sostenevan­o tra l’altro che i crimini contro le donne dovevano essere denunciati senza alcuna ambiguità. Essi andavano infatti contro « la dignità della donna e il cuore stesso della società » . Non si poteva tollerare che « le ragazze fossero ridotte in schiavitù, costrette alla prostituzi­one » . Tuttavia l’intera questione venne congelata ai colloqui di pace. E la Società delle Nazioni restò per eccellenza l’ « anatra zoppa » , che si dimostrò poi del tutto impotente a fermare la caduta verso il Secondo conflitto mondiale.

40- continua

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In fuga A sinistra, le profughe bosniache che scappano dalla città di Jajce, dopo la sua invasione, il 31 ottobre 1992. Poi, in senso orario: donne armene al lavoro ad Alessandro­poli, nel 1915; alcune infermiere volontarie intente a preparare i...
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