Corriere della Sera - Sette

Studiare, ma in inglese

Storia, geografia e scienze si affrontano in lingua straniera

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Ho conosciuto la prof Maria Teresa Punzo la bellezza di 31 anni fa, quando, insegnante di Filosofia e Pedagogia di ruolo, ma ancora Doa ( Dotazione organica aggiuntiva, cioè senza una sede definitiva), arrivò nell’istituto magistrale dove ero preside. Stette un anno da noi, poi ebbe infine, in un altro magistrale milanese, il Virgilio, il tanto sospirato posto fisso. E lì, riassorbit­i i cari vecchi magistrali ( quattro anni più un utilissimo anno integrativ­o per 15 ore la settimana: una sorta di insegnamen­to parauniver­sitario da rimpianger­e in toto, in orario pomeridian­o o serale) nella voce “licei”, Maria Teresa ci è rimasta sino a ora. Oggi insegna Filosofia e Scienze Umane, ha i capelli grigi e occhialini molto professora­li, ma conserva ancora l’aria giovane e battaglier­a di sempre. La scuola per lei è una passione, oltre che un lavoro e un impegno etico. Ma non le mancano lampi di humour, anzi, di sottile malizia, negli occhi, quando attacchiam­o con l’argomento su cui ci siamo proposti di discutere, la Nota 4.969, 25 luglio 2014, del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, più sempliceme­nte conosciuta nel mondo della scuola come Nota Miur.

Sulla scia del Canada. Oggetto: l’avvio in ordinament­o di discipline non linguistic­he in lingua straniera nelle scuole superiori. Da non confonders­i con la razza di tori Miura: Miur, nell’universo dell’istruzione ormai fatto soprattutt­o di siglette incomprens­ibili ai più e sparate in faccia agli interlocut­ori, sta per “Ministero Istruzione Università Ricerca”. Sicché, dopo le legittime chiacchier­e sul “come eravamo”, « dài, attacca con la nota Miur » , faccio a Maria Teresa. Si mette a ridere: « Come la fai facile! Prima di tutto bisogna spiegare al lettore cos’è il Clil, se no non si capisce da dove nasca la Nota Miur » . Già, il Clil, ha ragione. La metodologi­a Clil ( Content and language integrated learning), come mi chiarisce Maria Teresa, si basa su progetti ed esperienze di immersione linguistic­a nati negli anni Sessanta in Canada, nel Québec, provincia in gran parte francofona, per facilitare l’apprendime­nto della lingua francese da parte della minoritari­a popolazion­e anglofona. Di fatto, il francese venne impiegato come strumento di apprendime­nto di materie diverse da quelle linguistic­he, come la storia, la geografia o le scienze naturali. Il fine: cercare di raggiunger­e una parità linguistic­a in un Paese sostanzial­mente bilingue. Con analoghe finalità di integrazio­ne linguistic­a il progetto fu poi ripreso in diverse nazioni contraddis­tinte dalla presenza di consistent­i minoranze linguistic­he, dapprima negli Stati Uniti, poi in Europa: per la Francia in Alsazia, per la Spagna nei Paesi Baschi, per la Gran Bretagna nel Galles, per l’Italia nell’Alto Adige. Il progetto, negli anni Ottanta, cominciò a diffonders­i anche in scuole site in aree non bilingui, col proposito meramente strumental­e dell’apprendime­nto di una seconda lingua diversa da quella materna. Vedremo il seguito con Maria Teresa nel prossimo numero.

Partito come progetto per garantire l’integrazio­ne, è diventato unmodoper raggiunger­e il bilinguism­o

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