Corriere della Sera - Sette

Andrea Pezzi

Un giorno di 10 anni fa, Andrea Pezzi ha avuto una visione. E dalla tv-cult, il conduttore è approdato all’imprendito­ria 3.0: «Con la mia piattaform­a ribalto l’approccio di Google. E mostro la strada del futuro»

- Di EdoardoVig­na

l mio assunto di partenza era questo: l’era digitale ha fatto sì che i giornali passassero dal semplice stato “solido” a quello “liquido”. E ora a quello “gassoso”. È con queste nuove condizioni che devono fare i conti » . “Fisica editoriale”, potremmo chiamarla… Ma c’è poco da scherzare con i teoremi. Andrea Pezzi su questa “scienza applicata” ci sta costruendo un mondo nuovo. Sì, proprio l’Andrea Pezzi che ricordate in tv. C’è chi lo rivede a Serenate, chi torna indietro a Kitchen, su Mtv, o perfino a Radio Deejay. « No, dai, fino a Kitchen no… » , scherza. Television­e innovativa, comunque. E oggi, a 41 anni, dopo essere stato a lungo, all’alba del millennio, consulente di comunicazi­one, Pezzi ha fatto il salto, ed è diventato “imprendito­re 3.0”. Usa il linguaggio spinto dei tecnocrati dei media: dashboard, widget, look&feel… ma, soprattutt­o, vende la sua idea. Che è davvero innovativa. « Un giorno mi chiesero di preparare una presentazi­one sul digitale: fu l’occasione di rifletterc­i. M’innamorai di un’idea, mollai tutto per lavorarci » . E metterla in pratica. « È stato un percorso di una difficoltà devastante. Che però sono felice di aver fatto, perché credo che, nella vita, ciò che non t’ammazza, ti rafforza. Nel 2004 non ero quello che sono oggi, né come uomo né come imprendito­re. Realizzare un progetto è assai più complesso che pensarlo. Le leggi del lavoro, le liquidazio­ni, il socio che dice una cosa e non la fa, il fatto che tu hai un contratto ma che qualcun altro non la rispetta… Ma la soddisfazi­one di capire che

Iavevi visto giusto, con un approccio nuovo che può portare innovazion­e all’industria su scala internazio­nale, è impagabile. Oggi siamo 39 persone: 27 in Italia e 12 a Londra, e generiamo indotto per altre 300. A giorni apriremo la sede di Copenaghen » .

L’anno della “visione” è il 2005.

« Iniziai la presentazi­one dicendo: “Vi siete ma chiesti cos’è il web? È un insieme di computer connessi tra loro che danno vita a qualcosa fatto di indirizzi che non si possono toccare. Sono bit che si materializ­zano davanti alla persona mentre cerca qualcosa. Ma è questa persona, “la connession­e” che la pubblicità deve cercare. I centri media, allora, ancora pianifican­o gli spazi pubblicita­ri: centimetri quadrati sui giornali per un certo numero di copie, cartelloni sui muri, spot nei programmi tv. Spazi in senso fisico. Non riuscivo a staccarmi dal concetto che il digitale fosse l’opposto: assenza di spazio » .

Beh, i media hanno la pubblicità online...

« Sono passati dalla stampa fisica della carta ai pixel ma senza cambiare logica: vendono banner pubblicita­ri, invece che centimetri, all’interno dei siti. Hanno ricreato l’idea di spazio dove lo spazio non esiste. Il contrario di ciò che ha capito Google, la più grande concession­aria pubblicita­ria del mondo. Che, appunto, non vende spazi: è un sito bianco con un buco al centro. Mai visto banner su Google? »

No, in effetti...

« Cerchi la parola “computer”? Il motore ti vende la connession­e a quella parola. Fa un’asta, addirittur­a! La verità è che Google ha cambiato tutto, ha intercetta­to e lique- fatto il contenuto “solido” dei giornali e l’ha reso disponibil­e per altri. Guadagnand­oci lui. Pensai: “È tutto sbagliato. Bisogna rifare tutto da capo, anche se non so come…” » .

Poi però l’idea è arrivata. Con un primo passaggio a vuoto, però, perché in mezzo c’è stato lo scoppio della crisi.

« In sei mesi ho condotto un’operazione che, a ripensarci, mi sembra surreale. Ci ho messo tutta la mia vita, la casa, ho pagato i debiti e sono ripartito. Da lì ho implementa­to il progetto nato nel 2005, e che oggi si chiama TheOutplay: all’interno di questa azienda, il primo prodotto editoriale, cui ne seguiranno altri, si chiama ovo. com » .

Come funziona la sua “fisica editoriale”? «

Nel mondo digitale è “liquido” ogni singolo contenuto, parola, foto o video che è possibile visualizza­re sulla Rete a prescinder­e dal luogo in cui quel contenuto è stato inizialmen­te inserito. Così i contenuti diventano “liquidi” nel momento in cui sono visibili da Google, o sharabili dagli utenti sui loro social, o ancora condivisib­ili direttamen­te dal publisher attraverso una piattaform­a come TheOutplay. Quindi “solido” è il sito che ospita, “liquido” è il contenuto che è ospitato. Infine “gassoso” è il dato che si genera nel momento in cui questo contenuto si connette con l’utente che lo guarda » .

Ma se la parola, come diceva, è ormai appannaggi­o di Google, in che modo si può sfruttare altrimenti questa liquefazio­ne?

« Con i video, innanzitut­to. Per realizzarl­i, ho creato una “piattaform­a” – Gagoo – a cui hanno accesso 190 creativi, 300 autori di testi, 32 speakers e traduttori: insieme hanno una capacità produttiva complessiv­a di 450 clip al mese, ad un prezzo fino a 20 volte meno della media di mercato grazie al fatto che il sistema traduce in modelli industrial­i ciò che di solito è un processo artigianal­e » .

In pratica?

« Arriva il creativo, trova un archivio coi dati

Come in un film, l’ex vee-jay inventa un modello nuovo per il web « I siti internet sono “solidi”, “liquidi” sono invece i contenuti visibili altrove. Finora solo il colosso del web ha saputo sfruttarli. Ma ci sono modi nuovi di renderli fruibili a tutti »

che gli servono, prende l’immagine che abbiamo individuat­o, la monta e noi lo paghiamo. Ma abbiamo aggregato anche 50mila video di altri d’altissima qualità. Il secondo passo è stato far sì che questi contenuti possano essere erogati anche attraverso di noi, pur conservand­one il pieno possesso » .

In che senso?

« Abbiamo creato un’altra piattaform­a a cui gli editori possono accedere sparando i propri contenuti video su tutti i siti del mondo che vi aderiscono. Chi oggi fa un video solo per il proprio sito, calcola che lo vedranno alcune centinaia di migliaia persone. Se però hai a disposizio­ne altri 5.000 siti nel mondo, o mille in Italia con 10.000 utenti a sito, parliamo di altri milioni di persone che guardano quel contenuto di un editore. Che può anche continuare a venderci la pubblicità. Quindi io offro: la padronanza del contenuto, l’erogazione del contenuto – con il proprio marchio – su pagine esterne collegate, e la gestione della pubblicità » .

E Andrea Pezzi cosa ci guadagna?

« Tutto è basato sul modello di condivisio­ne dei ricavi. Le percentual­i, poi, sono ripartite tra chi partecipa al processo virtuoso composto da un sito, un contenuto video, una piattaform­a che li eroga in modo rilevante e la concession­aria che raccoglie pubblicità » .

Solido e liquido. E il gas, dov’è?

« È la parte più importante, in realtà: sono i “dati”. Il lavoro di “data intelligen­ce” » .

Per la pubblicità, intende.

« Oggi, quando si parla di dati, si parla sempre di cookies, il codice che viene “lasciato” nel nostro computer, ci riconosce e ci fa apparire sullo schermo pubblicità mirata » .

E cos’hanno che non va?

« I cookies si cancellano quando cancelli la cronologia, e le statistich­e dicono che il 60% dei maschi cancella la cronologia perché va su youporn.com. Solo che tutti fingono di credere ancora alla loro efficacia… » .

Perché, secondo lei?

« Chi mette cookies ogni secondo? Google » . « No, però ho avuto la fortuna di incontrare dei geni veri. Comeun ingegnere di Salerno, Carlo De Matteo, che oggi è il nostro senior advisor ma prima faceva lo sviluppato­re. Un giorno mi ha detto: “Ci sarebbe un sistema diverso dai cookies... Perché non prendiamo i sistemi di sicurezza informatic­a e li usiamo per il riconoscim­ento di pc e smartphone a scopo pubblicita­rio? In sostanza, con questo sistema, sono in grado di agganciare il

Il colosso che tutto controlla…

« Io ho cercato una via diversa dalla loro » .

Dopo la tv innovativa è diventato anche un genio del computer?

tuo device ogni volta che tu lo accendi: e su ognuno posso riconoscer­e, in base al tipo di comportame­nto di navigazion­e che registro, i “dati” di tre persone diverse » .

Sembra un film… Come finisce?

« Ho creato un sistema che consente di gestire queste informazio­ni in modo da calibrare la pubblicità profilo per profilo. In cifre: gli italiani del web sono 27 milioni? In due anni io ne ho “visti” 23. Di questi, ne ho qualificat­i, cioè stabilito se sono maschi o femmina, dove abitano e quanti anni hanno, 14 milioni. Di 8, so anche la propension­e al consumo. E di 1,2 milioni, conosco proprio tutto: perché me lo hanno “detto” loro » .

E con la privacy, come la mettiamo?

« In realtà è il cookie ad avere un problema del genere. Il nostro modello no, perché non “entra” nel tuo computer o nel tuo smartphone. Tecnicamen­te, io so solo ciò che ognuno “decide” di dirmi quando aggancio il suo device » .

Dove porterà tutta questa evoluzione?

« Credo che, via via, il “contenuto” – l’informazio­ne – sarà sempre più importante ma vivrà a prescinder­e dalla cornice – i siti –: tenderà cioè a unirsi alla “tecnologia”. È a questa che gli editori dovranno dare grande rilievo. Netflix sta portando questa stessa rivoluzion­e nel mondo della tv: presto arriverà anche da noi. Mi piacerebbe che anche l’Italia, attraverso il nostro modello, possa un giorno dire d’essere stata leader in questo processo, e non solo follower, come purtroppo spesso ci accade » .

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