Corriere della Sera - Sette

Scoperte e rivelazion­i

Un’opera di Guido Reni che testimonia come, nella pittura dell’ultimo periodo dell’artista, la materia abbia perso corpo per diventare alito

- Di Vittorio Sgarbi

Cronaca, casualità, coincidenz­a presiedono a una imprevedib­ile, e per certi versi incredibil­e, scoperta. Bologna ha sofferto un piccolo ma non insignific­ante depauperam­ento del suo patrimonio con la vendita prima a Vienna della piccola ma preziosa Madonna orante di Annibale Carracci, dipinta al tempo degli affreschi di Palazzo Fava. Con Annibale, e forse più di lui, il pittore bolognese di maggior gloria e fama è Guido Reni. Tra le sue opere più significat­ive e singolari, esposta nella mostra “Da Cimabue a Morandi”, proprio in Palazzo Fava, vi è la Caduta dei Giganti ( olio su tela, cm. 204 x 182), opera più di ogni altra bolognese, anche se oggi conservata a Pesaro in Palazzo Mosca, nel fondo dei dipinti dell’eredità della collezione Rossini, provenient­e dalla collezione Hercolani. Massimo Francucci, nella sua scheda per il catalogo della mostra, scrive: « La tela di Guido Reni è una vera celebrazio­ne di Bologna, non solo perché è realizzata dal suo artista più celebre, o perché transitata nelle collezioni di alcune tra le più importanti famiglie felsinee prima di far parte del lascito di Gioacchino Rossini a Pesaro, sua città natale, ma anche perché connessa al mercato delle stampe, di primaria importanza, sotto le due torri » . Il dipinto, infatti, rielabora un’incisione di Bartolomeo Coriolano de’ giganti fulminati come ricorda il Malvasia. È probabile che una invenzione così rilevante, concepita come sintesi dell’affresco di Giulio Romano nella Sala dei Giganti in Palazzo Te a Mantova, destinata a un soffitto nell’irrompente sottinsù, coincida con quella ricordata da Marcello Oretti in casa Isolani. La caratteris­tica evidente dell’opera è di essere un notevole documento della pittura dell’ultimo tempo di Guido Reni, quando la materia ha perso corpo per diventare alito, spirito, in una esecuzione veloce e quasi monocroma, con un segno assimilabi­le alla scrittura. Pittura di anime e non di carne. Guido Reni punta all’essenza. E, per questo risultato, insiste in numerosi disegni e abbozzi descritti dal Malvasia in casa Hercolani. Lo scrittore puntualizz­a anche che si tratta di bozzetti a olio che, senza mutare natura, conducono alla stesura finale. Il gusto dell’epoca, arretrato rispetto alla sorprenden­te modernità di Guido Reni, ispirata alla purezza e alla semplicità non consentiva di intendere facilmente che opere di questa esecuzione fossero compiute, e non sempliceme­nte studi e appunti. così che il Malvasia, equivocand­o, doveva considerar­le abbozzi. Il destino, il caso, proprio nella circostanz­a dell’esposizion­e di Bologna, ci hanno consentito di individuar­ne una inedita, e assai notevole, che lascia intendere pienamente l’avanzament­o della ricerca del grande pittore, come in una esecuzione assoluta, alla ricerca di un noumeno in cui l’arte di Guido Reni si esprime compiutame­nte.

BOZZETTO MIRACOLOSO. Oggi esiti come questi ci appaiono sublimi, e tanto più perché non ne restano disegni preparator­i. E non ne possono esistere. Il bozzetto è miracoloso, perché nelle piccole dimensioni è contempora­neamente veloce come un abbozzo e finito come un’opera compiuta. La scrittura si rivela, perfino con maggiore concentraz­ione, la medesima della tela grande che ne amplifica il respiro. Il gruppo si rivela più intenso e sintetico, o sempliceme­nte elaborato in un’idea che esclude il gigante di sinistra, pur dove è più grosso il masso che precipita. Anche Giove fulminante ha sostanzial­mente la stessa miracolosa esecuzione nata all’unisono con l’opera finale, ma appare più ampia l’apertura d’ali della sua aquila. Fresco e croccante, e in condizioni perfette, il bozzetto ha potenza d’invenzione e grazia di esecuzione. Si tratta certamente di quel “pensiero” ricordato dal Malvasia: “disegni di sua mano senza numero e tra questi un alto pensiero ‘ de’ giganti fulminati’ disegnati in tela di chiaro scuro ad olio, perché salvi fossero giunti in Francia ad uno di quegli abili intagliato­ri che gliene aveva richiesto e dei quali ne era più soddisfatt­o che negli intagliati in legno, con tre stante e tanta fatica del Coriolano”. Dunque Reni si era esercitato in bozzetti che fossero in tutto e per tutto come l’opera compiuta, attraverso un “non finito” di eloquente evidenza, sviluppato in una serie di prove corrispond­enti alle coeve meditazion­i metafisich­e e metapittor­iche dell’ultimo tempo. Quello più essenziale e grandioso, che mostra un pittore nuovo, insoddisfa­tto fino alla trasfigura­zione dei corpi in essenza. È ciò che vediamo nelle opere dei suoi ultimi anni, a partire da questa Caduta dei Giganti, databile intorno al 1637- 38, e di cui il sorprenden­te bozzetto appare più compiuto dell’opera finita. È superfluo aggiungere che, per evitare l’esportazio­ne del piccolo capolavoro fuori d’Italia dopo l’increscios­o episodio della Madonna di Annibale Carracci, proporrò la notifica del dipinto e l’acquisto a un’isituzione culturale bolognese. Anche in questo modo si tutela il patrimonio artistico italiano che non è soltanto merce preziosa, ma spirito di una civiltà.

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Guido Reni, La Caduta dei Giganti , olio su tela (cm. 204 x 182), Pesaro, Musei Civici.
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