Scoperte e rivelazioni
Un’opera di Guido Reni che testimonia come, nella pittura dell’ultimo periodo dell’artista, la materia abbia perso corpo per diventare alito
Cronaca, casualità, coincidenza presiedono a una imprevedibile, e per certi versi incredibile, scoperta. Bologna ha sofferto un piccolo ma non insignificante depauperamento del suo patrimonio con la vendita prima a Vienna della piccola ma preziosa Madonna orante di Annibale Carracci, dipinta al tempo degli affreschi di Palazzo Fava. Con Annibale, e forse più di lui, il pittore bolognese di maggior gloria e fama è Guido Reni. Tra le sue opere più significative e singolari, esposta nella mostra “Da Cimabue a Morandi”, proprio in Palazzo Fava, vi è la Caduta dei Giganti ( olio su tela, cm. 204 x 182), opera più di ogni altra bolognese, anche se oggi conservata a Pesaro in Palazzo Mosca, nel fondo dei dipinti dell’eredità della collezione Rossini, proveniente dalla collezione Hercolani. Massimo Francucci, nella sua scheda per il catalogo della mostra, scrive: « La tela di Guido Reni è una vera celebrazione di Bologna, non solo perché è realizzata dal suo artista più celebre, o perché transitata nelle collezioni di alcune tra le più importanti famiglie felsinee prima di far parte del lascito di Gioacchino Rossini a Pesaro, sua città natale, ma anche perché connessa al mercato delle stampe, di primaria importanza, sotto le due torri » . Il dipinto, infatti, rielabora un’incisione di Bartolomeo Coriolano de’ giganti fulminati come ricorda il Malvasia. È probabile che una invenzione così rilevante, concepita come sintesi dell’affresco di Giulio Romano nella Sala dei Giganti in Palazzo Te a Mantova, destinata a un soffitto nell’irrompente sottinsù, coincida con quella ricordata da Marcello Oretti in casa Isolani. La caratteristica evidente dell’opera è di essere un notevole documento della pittura dell’ultimo tempo di Guido Reni, quando la materia ha perso corpo per diventare alito, spirito, in una esecuzione veloce e quasi monocroma, con un segno assimilabile alla scrittura. Pittura di anime e non di carne. Guido Reni punta all’essenza. E, per questo risultato, insiste in numerosi disegni e abbozzi descritti dal Malvasia in casa Hercolani. Lo scrittore puntualizza anche che si tratta di bozzetti a olio che, senza mutare natura, conducono alla stesura finale. Il gusto dell’epoca, arretrato rispetto alla sorprendente modernità di Guido Reni, ispirata alla purezza e alla semplicità non consentiva di intendere facilmente che opere di questa esecuzione fossero compiute, e non semplicemente studi e appunti. così che il Malvasia, equivocando, doveva considerarle abbozzi. Il destino, il caso, proprio nella circostanza dell’esposizione di Bologna, ci hanno consentito di individuarne una inedita, e assai notevole, che lascia intendere pienamente l’avanzamento della ricerca del grande pittore, come in una esecuzione assoluta, alla ricerca di un noumeno in cui l’arte di Guido Reni si esprime compiutamente.
BOZZETTO MIRACOLOSO. Oggi esiti come questi ci appaiono sublimi, e tanto più perché non ne restano disegni preparatori. E non ne possono esistere. Il bozzetto è miracoloso, perché nelle piccole dimensioni è contemporaneamente veloce come un abbozzo e finito come un’opera compiuta. La scrittura si rivela, perfino con maggiore concentrazione, la medesima della tela grande che ne amplifica il respiro. Il gruppo si rivela più intenso e sintetico, o semplicemente elaborato in un’idea che esclude il gigante di sinistra, pur dove è più grosso il masso che precipita. Anche Giove fulminante ha sostanzialmente la stessa miracolosa esecuzione nata all’unisono con l’opera finale, ma appare più ampia l’apertura d’ali della sua aquila. Fresco e croccante, e in condizioni perfette, il bozzetto ha potenza d’invenzione e grazia di esecuzione. Si tratta certamente di quel “pensiero” ricordato dal Malvasia: “disegni di sua mano senza numero e tra questi un alto pensiero ‘ de’ giganti fulminati’ disegnati in tela di chiaro scuro ad olio, perché salvi fossero giunti in Francia ad uno di quegli abili intagliatori che gliene aveva richiesto e dei quali ne era più soddisfatto che negli intagliati in legno, con tre stante e tanta fatica del Coriolano”. Dunque Reni si era esercitato in bozzetti che fossero in tutto e per tutto come l’opera compiuta, attraverso un “non finito” di eloquente evidenza, sviluppato in una serie di prove corrispondenti alle coeve meditazioni metafisiche e metapittoriche dell’ultimo tempo. Quello più essenziale e grandioso, che mostra un pittore nuovo, insoddisfatto fino alla trasfigurazione dei corpi in essenza. È ciò che vediamo nelle opere dei suoi ultimi anni, a partire da questa Caduta dei Giganti, databile intorno al 1637- 38, e di cui il sorprendente bozzetto appare più compiuto dell’opera finita. È superfluo aggiungere che, per evitare l’esportazione del piccolo capolavoro fuori d’Italia dopo l’increscioso episodio della Madonna di Annibale Carracci, proporrò la notifica del dipinto e l’acquisto a un’isituzione culturale bolognese. Anche in questo modo si tutela il patrimonio artistico italiano che non è soltanto merce preziosa, ma spirito di una civiltà.