Corriere della Sera - Sette

Qualcuno suonò alla porta. Era Zurlini

Bologna fine anni Settanta, mentre prepara l’esame di Medicina legale uno studente si trova davanti di colpo il suo regista preferito

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Enrico Tesei è un lettore che mi sta particolar­mente caro perché tradisce ogni venerdì il suo quotidiano preferito ( la Repubblica) per il Corriere, in onore delle mie rubriche. Ora mi ha inviato una struggente mail zurliniana (e buzzatiana). Eccola: «Ho una breve storia personale da raccontarl­e in merito al grande Valerio Zurlini. Correva l’anno 1979, a Bologna, dove io studiavo all’Alma Mater e mi preparavo per l’esame di Medicina legale e delle Assicurazi­oni (facoltà di Giurisprud­enza): avevo 22 anni all’epoca, e mi trovavo a casa di un’amica a ripassare l’esame, facendoci reciproche domande sulla tanatologi­a! Questa amica era la figlia di un noto avvocato bolognese che aveva frequentaz­ioni di gente “importante” (ricordo che era molto amico del pittore Guttuso). Verso le quattro del pomeriggio si sente suonare alla porta. Eravamo soli in casa, Elisabetta va ad aprire ed esclama: “Ciao Valerio!”. Poi mi presenta un bel signore alto, direi imponente, affabulato­re, gran fumatore, esuberante mi parve e, quando sentii il suo cognome, trasecolai, perché era proprio il regista Zurlini che aveva un appuntamen­to col padre della mia amica (che, per mia fortuna, era in ritardo). Dimenticam­mo immediatam­ente di studiare perché io, a quel tempo affascinat­o e vorace lettore di tutto quanto Dino Buzzati aveva scritto (dai 60 racconti ad Un amore, da Cronache terrestri al Poema a fumetti) bramavo sentire dalla sua viva voce tutto quanto mi poteva raccontare del suo film Il deserto dei Tartari, che avevo visto un paio d’anni prima. Zurlini non si fece pregare e mi raccontò tutto, a partire dalla difficoltà di reperire i fondi per girarlo (una mano gliela diede Jacques Perrin, che interpreta­va Drogo), alla suggestiva location in Iraq, fino alla bravura per lui un po’ insospetta­ta di Giuliano Gemma (fino ad allora interprete praticamen­te solo di film western). Mi raccontò di Vittorio Gassman, che aveva una furibonda paura di montare a cavallo e che quindi, per le scene in lontananza, era sostituito da una controfigu­ra, mentre per quelle più ravvicinat­e la

Alto, imponente, gran fumatore, esuberante, affabulato­re, l’uomo che aveva portato sullo schermo Il deserto dei Tartari travolse quel ragazzo con i suoi racconti di set

povera bestia veniva trattenuta da quattro persone. Nonostante ciò, Gassman continuava a chiedere a Zurlini: “Ma non si può avere un cavallo di marmo?”. Per non tediarla troppo concludo col dirle che fu per me un pomeriggio indimentic­abile, uno dei più bei pomeriggi della mia vita... Anni dopo, in morte di Zurlini, leggo il “coccodrill­o” sul Corriere: tra i film del regista romagnolo (come me, io sono di Cesena) c’è La Prima notte di quiete!!! Avrei voluto morire!!! Non lo sapevo!!! Avevo amato quel film assai di più che Il deserto dei Tartari”, ma non ricordavo, quel maledetto pomeriggio, che era lui il regista! Avrei potuto chiedergli del cappotto di Delon, della tromba sola nella colonna sonora, di Sonia Petrova/Vanina, di Giannini, del mio attore tv preferito Adalberto Maria Merli (“la Freccia Nera fischiando si scaglia, nella cupa boscaglia...”), e non lo feci! Ed irrimediab­ilmente non potei più farlo! Mi perdoni se utilizzo un finale buzzatiano in tema, il più bel pomeriggio della mia vita si trasformò nel più grande rammarico/rimpianto per l’occasione perduta...». Gentile Tesei, lei mi sta ancora più caro.

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